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Fusa

Regia di Kon Ichikawa vedi scheda film

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La recensione su Fusa

di OGM
8 stelle

Fusa è il nome di un’apparizione. Di un’anima gentile che si materializza in mezzo ad un mondo indifferente all’amore, in cui si parla solo di politica, di economia, di questioni di casta. Nel Giappone delle caste, l’adozione di un figlio o il matrimonio non sono espressioni di un sentimento, bensì i modi più comuni per  ascendere la scala sociale. Il giovane samurai Seishiro ha acquisito la sua posizione entrando a far parte della famiglia del potente Tawara. E può consolidarla prendendo in moglie Tomoe, la figlia di un altro notabile, un certo Kajima. Un progetto interrotto dall’arrivo di una ragazza sconosciuta, che ha perso la memoria e si presenta, un giorno, con i vestiti sporchi e laceri, alla casa di Seishiro. Nessuno sa chi sia, né cosa le sia capitato. L’uomo decide di ospitarla e di tenerla con sé, benché ciò diventi presto argomento di chiacchiere e finisca per compromettere il suo rapporto con i parenti della sua promessa sposa. Il mistero si è improvvisamente inserito nella fredda pianificazione del futuro. I contorni netti di una realtà rigidamente organizzata sono sfumati nei colori tenui della poesia. Fusa è un abisso in cui è sprofondata una verità irraggiungibile, e Seishiro sceglie di tuffarcisi, abbandonando le sue certezze così scrupolosamente costruite. Di professione fa il contabile, passa le sue giornate a registrare entrate e uscite, eppure, davanti a quella creatura, dimentica l’abitudine al calcolo per abbracciare il massimo del rischio: quello che, sulla scia di un’emozione incontrollabile, trascina l’uomo verso l’ignoto assoluto. Questa storia, tratta da un racconto di Shugoro Yamamoto (romanziere già ispiratore di Akira Kurosawa) è una favola che si stacca da terra con l’eterea leggerezza della fantasia più pura: quella che vola, semplicemente, senza portare con sé né pensieri, né visioni. La totale assenza di ricordi di quella fanciulla senza nome, che i servitori di Seishiro chiameranno Fusa, impedisce all’immaginazione di costruirsi un universo alternativo alla concretezza del presente, oltre il quale, in questo caso, si estende solo un vuoto sconfinato. Questo film dimostra che l’idealismo non è l’unico avversario della mentalità feudale: l’arretratezza culturale non si combatte solo con le battaglie di emancipazione, ma anche con il rifiuto della logica, con la cieca sottomissione al caos, a quella irragionevolezza fatta di nulla che racchiude tutto ciò che non si può comprendere, né tantomeno governare. La passione per Fusa, che non ha identità né condizione, è la suprema sfida contro quel mondo retto dalle gerarchie aristocratiche, in cui è la nascita a determinare il valore dell’individuo. Kon Ichikawa affida al potere innocentemente provocatorio della bellezza il compito di polemizzare contro un sistema basato sul potere e sui privilegi. E lo fa col riverente garbo di chi, della tradizione, vuole esaltare la parte più nobile, in cui il decoro che si rispetta è quello che risplende nella preziosa disciplina dell’Arte, e che risuona nel deferente sussurro della preghiera. 

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