Regia di Matteo Cerami, Mario Sesti vedi scheda film
"Sappi che negli insegnamenti che io t’impartirò non c’è il minimo dubbio.Io ti spingerò a tutte le sconsacrazioni possibili, alla mancanza di ogni rispetto per ogni sentimento istituito. Tuttavia, il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi, adoratori di feticci. Chi accetta realisticamente una trasformazione che è regresso e degradazione vuol dire che non ama chi subisce tale regresso e tale degradazione, cioè gli uomini in carne e ossa che lo circondano. Chi invece protesta con tutta la sua forza, anche sentimentale, contro il regresso e la degradazione vuol dire che ama quegli uomini in carne e ossa, amore che io ho la disgrazia di sentire e che spero di comunicare a te.
Parole di Pasolini lette da Toni Servillo in un documentario del 2006 di Mario Sesti e Matteo Cerami.
A tratti ascoltiamo la voce del poeta, alcune brevi interviste, qualche filmato di repertorio, ma inconfondibilmente sua è la voce che emana dalle poesie lette da Servillo, brani da Scritti Corsari, articoli sul Corriere o altro che fanno da filo sonoro al tessuto visivo messo insieme dagli Autori a mò di percorso post mortem di un poeta più che mai vivo.
Diviso in sequenze con titoli che sintetizzano i temi centrali del mondo di Pasolini, immagini di repertorio dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, dal Fondo Corona della Cineteca di Bologna, dagli archivi privati del Film di Famiglia di Bologna e, infine, filmati da Appunti per un’Orestiade Africana di Pasolini e I giorni contati di Elio Petri, s’intrecciano in un percorso che non è solo la visione del mondo di un artista scomparso troppo presto, una voce di cui continuiamo a sentire la mancanza, è una storia d’Italia di decenni al bivio, quando furono fatte scelte che potevano essere altre e fu presa la strada che ci ha portato fino ad oggi.
Il Poeta era all’imbocco di quel bivio, vide e capì, per questo la sua voce risuona insuperata ancora oggi e a lunghi intervalli conviene riascoltarla.
Al momento della morte Pasolini stava lavorando ad un film, Porno Theo Kolossal. I protagonisti dovevano essere Eduardo De Filippo e Ninetto Davoli, e quel film mai fatto è l’occasione per l’impianto da dare a questo, con un’animazione che immagina i due personaggi di quel film, Epifanio e Nunzio, in volo sopra la terra a guardare fatti e misfatti sulla scia di una cometa.
A trent’anni dalla sua scomparsa (2 novembre 1975), altri quindici fino ad oggi, la voce di Pasolini è sempre più forte, lirica e polemica, pervasa d’amore e di sdegno, e i mali di allora sono gli stessi di oggi, cambiano nomi e circostanze, non è cambiato l’irrefrenabile processo di trasformazione che è regresso e degradazione.
Una voce che torna, come un mantra che non ci abbandona, la società in fermento de La religione del mio tempoha cambiato i connotati ma fornirebbe ancora molta materia a quelle che, lui diceva, “non sono solo opinioni politiche, ma sono, insieme, poetiche; hanno cioè subito quella trasformazione radicale di qualità che è il processo stilistico”.
Dunque voce soprattutto poetica, che della poesia ha la forza e la capacità di penetrazione nello spazio interno dell’essere umano perché…
“… non esiste nulla di più irresistibile dell’invito ad entrare nello spazio interno di un essere umano. E se la persona sa usare molto bene le parole, il suo silenzio accresce al massimo la seduzione. Cerchiamo di arrivare sino alle sue parole, e speriamo di trovarle dietro il sorriso: è là che esse attendono il visitatore”
(Elias Canetti, Il frutto del fuoco)
ALL’INIZIO
“Che Paese meraviglioso era l’Italia durante il fascismo e subito dopo. La vita era come la si era conosciuta da bambini e per trent’anni non è più cambiata, non dico i suoi valori, ma le apparenze, parevano dotate del dono dell’eternità.
Si poteva appassionatamente credere nella rivolta o nella rivoluzione che tanto quella meravigliosa cosa che era la forma della vita non sarebbe cambiata”
Il filmato si apre con queste parole gioiose, scorrono immagini in bianco e nero di un’Italia povera e rurale, quel “cuore campestre dell’Italia” ben presto tradito da una nazione che andava degradandosi sempre più nelle squallide figure di carrieristi “prefetti codini, avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi”.
Ne deriva rabbia e un senso doloroso d’impotenza:
“Ho perduto le forze; non so più il senso della razionalità; decaduta si insabbia – nella tua religiosa caducità – la mia vita, disperata che abbia solo ferocia il mondo, la mia anima rabbia” (da La religione del mio tempo,).
L’AMORE PER IL POPOLO
E’ la prima sequenza, descrive riti popolari fra contadini abruzzesi e marchigiani:
Ah, noi che viviamo in una sola
generazione ogni generazione
vissuta qui, in queste terre ora
umiliate, non abbiamo nozione
vera di chi è partecipe alla storia
solo per orale, magica esperienza;
e vive puro, non oltre la memoria
della generazione in cui presenza
della vita è la sua vita perentoria.
(da Il canto popolare)
IL TERZO MONDO COMINCIA QUI
Ragazzi del popolo riversati nei vicoli, nelle borgate…belli della bellezza del rione
Ragazzo del popolo che canti,
qui a Rebibbia sulla misera riva
dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
è vero, cantando, l'antica, la festiva
leggerezza dei semplici. Ma quale
dura certezza tu sollevi insieme
d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
tuguri e grattacieli, allegro seme
in cuore al triste mondo popolare.
Nella tua incoscienza è la coscienza
che in te la storia vuole, questa storia
il cui Uomo non ha più che la violenza
delle memorie, non la libera memoria...
E ormai, forse, altra scelta non ha
che dare alla sua ansia di giustizia
la forza della tua felicità,
e alla luce di un tempo che inizia
la luce di chi è ciò che non sa.
(da Il canto popolare)
Dall’ urbanizzazione di massa che ha deturpato bellezza e memorie storiche delle città e dall’esplosione incontrollata delle periferie nasce il nodo centrale del suo mondo poetico, quei ragazzi di borgata diventeranno i martiri di una desacralizzazione del vivere che confluisce nella figura di Accattone.
“Io ero un figlio di papà, a Roma ho conosciuto il mondo del sottoproletariato”
Qui Pasolini ricorda l’ultima sequenza del film, il sogno di Accattone morente che chiede al vecchio di scavare un po’ più in là, al sole , quella buca che sarà la sua tomba.
“Fa il segno della salvezza della propria anima” dice a Ninetto, seduto con lui al tavolo di quella casa sottoproletaria di classe appena un po’ sopra le baracche di Pietralata e Quarticciolo.
Eppure quel mondo di baracche e campi riarsi aveva un’autenticità che è stata sfigurata, il sottoproletario ha scelto di omologarsi al borghese, e arbitra del processo è stata l’Italia democratica.
L’OMOLOGAZIONE
“ Il fascismo non è riuscito ad omologare l’Italia attraverso il proprio potere. L’Italia democratica invece, attraverso la società dei consumi e la TV, sta distruggendo il Paese e le sue articolazioni. Nel momento in cui qualcuno ti ascolta attraverso il video, si instaura inevitabilmente un rapporto subalterno. E’ la ferocia dei nuovi strumenti del potere. Non considero niente di più feroce della banalissima televisione…”
E contro la televisione Pasolini scatena la sua invettiva più feroce:
Il potere vuole che si parli in un determinato modo…
“Una ferocia ambigua, ineffabile, abile Non considero niente di più feroce della banalissima televisione.
Il video è una crudele gabbia che tiene prigioniera dell’opinione pubblica, servilmente servita per ottenere il totale servilismo, l’intera classe dirigente italiana..
Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogan mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre.
Tutto viene presentato come dentro un involucro protettore… l’importante è una sola cosa, che non trapeli mai nessuna cosa che sia men che rassicurante… Tutto ciò esclude gli spettatori da ogni partecipazione politica, come al tempo fascista. C’è chi pensa per loro, e si tratta di uomini senza macchia, senza paura.
Da tutto ciò nasce un clima di terrore.
Io vedo chiaramente il terrore negli occhi degli annunciatori o degli intervistati ufficiali, non va pronunciata una parola di scandalo.
Non può essere pronunciata una parola, in qualche modo, vera.”
L’ODIO PER LA BORGHESIA
Party lussuosi, spiagge gremite, fuoribordo e sci d’acqua, premières e teatri sfavillanti d’oro e lustrini, dame ingioiellate e beni di consumo, la macchina e la lavatrice in primo piano.
“ Nella nostra società c’è quello che c’era dieci anni fa. Il benessere è una faccenda privata della borghesia milanese e torinese. A livello popolare nulla è mutato, anzi, le cose sono peggiorate. Il meridione ha l’aria spaventata di una colonia…
A Roma tuguri, disoccupazione, caos, bruttezza.
Almeno dieci anni fa intorno alle borgate di tuguri c’erano i prati. Oggi c’è qualcosa di indicibile, il puro orrore edilizio, qualcosa che condanna chi vi abita alla contemplazione dell’Inferno.
Il sottoproletariato, un tempo orgoglioso della sua filosofia e sprezzante del mondo borghese, oggi è caduto in preda ad un complesso d’inferiorità che lo condanna ad invidiare i privilegi borghesi e a far di tutto per averli.
ALÌ DAGLI OCCHI AZZURRI
Dal sottoproletariato mutante ai migranti il passo è breve:
“I Persiani si ammassano alle frontiere. / Ma milioni e milioni di essi sono già pacificamente immigrati, / sono qui, al capolinea del 12, del 13, del 409 … Il loro capo si chiama: / Alì dagli Occhi Azzurri”.
Pier Paolo Pasolini e la sua Profezia
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi.Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici,e di camicie americane.
Subito i Calabresi diranno,
come da malandrini a malandrini:
” Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio!”
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica
voleranno davanti alle willaye.
Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantavano
ai massacri dei re,
essi che ballavano
alle guerre borghesi,
essi che pregavano
alle lotte operaie…
deponendo l’onestà delle religioni contadine
dimenticando l’onore della malavita
tradendo il candore dei popoli barbari
dietro ai loro Alì dagli occhi azzurri
usciranno da sotto la terra per rapinare
saliranno dal fondo del mare per uccidere
scenderanno dall’alto del cielo per espropriare
per insegnare ai compagni operai la gioia della vita
per insegnare ai borghesi la gioia della libertà
per insegnare ai cristiani la gioia della morte
distruggeranno Roma e sulle sue rovine deporranno il germe della storia antica.
Poi, col Papa e ogni sacramento,
andranno come zingari su verso l’ovest e il nord
con le bandiere rosse di Trotsky al vento
Profezia scritta in forma di croce, nella lettura la croce si perde ma suppliscono le immagini, concitate, festanti, agguerrite e inquietanti, popoli del sud in marcia.
“Il terzo mondo nella sua crudele innocenza, nella sua feroce irrazionalità e nella sua esistenziale alterità”(Peter Kammerer) sfila in ordine sparso, inseguito da versi che predicono cinquanta anni prima l’ “invasione”degli “extracomunitari”.
A Sartre Pasolini deve la storia di Alì dagli Occhi Azzurri, lui gliel’ha raccontata il giorno della grande delusione di Pier Paolo per una sinistra moralista e bacchettona, incapace e timorosa, che non capì la straordinaria forza del suo Vangelo.
“Sono del suo avviso che l’atteggiamento (della sinistra) francese di fronte al Vangelo… è un atteggiamento ambiguo. Essa non ha integrato Cristo culturale. La sinistra lo ha messo da parte. Né si sa che fare dei fatti che concernono la cristologia. Hanno paura che il martirio del sottoproletariato possa essere interpretato in un modo o nell’altro nel martirio di Cristo” rispose Sartre, e nacque Alì, che possiamo acora recitare oggi e domani e fino a quando non ci sarà più un disperato in mare.
“…è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall’Africa”
L’ANNO DELLA RIVOLTA
Una “signorina buonasera”, sorridente, leggermente scarmigliata e con voce suadente annuncia dal video di un televisore la rivoluzione:
“D’ora in poi si parlerà di tutto: sesso, maternità contraccezione, aborto, famiglia, prostituzione, scuola, infanzia, vecchiaia e menopausa.
Signore, signorine, bambine, vi aspettiamo. Buonasera”
Il ’68 è un altro momento forte della polemica pasoliniana.
“Dalla finestra fin quassù all’ottavo piano arrivano le grida degli studenti, disordinate, discordanti, convenzionali. Tutte uguali tra loro nel tempo presente, uguali anche a quelle del passato, di antichi fascisti o di dimenticati partigiani …
Quel piccolo gruppo di idee deludenti e avvilenti che un giovane rivoluzionario ha in testa comprende, naturalmente, l’ansia piccolo borghese per il domani, la fobia per la miseria e l’insuccesso e una specie di piccola ma intensa malattia mentale tenuta nascosta, l’idea di un domani migliore in cui tutti avranno la casa assicurata con gli annessi beni di consumo e il denaro per acquistarli, in cui tutti andranno a scuola per impadronirsi della dovuta cultura ecc. ecc.”
La colpa che accomuna i giovani ai loro padri da giovani è quella di non aver creduto nelle possibilità che potesse esistere una storia alternativa a quella che stavano vivendo, alla «storia borghese».
“La verità è che un ragazzo disceso qui è del tutto nuovo, fa subito in modo di difendersi contro la vera libertà, è soprattutto un ragazzo che accetta i doveri, obbedire ai doveri della rivoluzione manifestando. Semplicità e gioventù, forme della natura, è in voi che la libertà è rinnegata.
Ma quanta innocenza nel non sapere questo! Quanto bisogna essere giovani per crederlo!”
DIALETTO FRIULANO
L’ultima poesia, dopo trent’anni, una sorta di reazione alla perdita del dialetto, una delle perdite più dolorose della realtà.
La perdita del corpo del proletariato e sottoproletariato, la sua dematerializzazione borghese è stata anche perdita del dialetto.
Tu difìnt, conserva, prea:
ma ama i puòrs: ama la so diversitàt.
Ama la so voja di vivi bessòj
tal so mond, tra pras e palàs
là ch’a no rivi la peràula
dal nustri mond; ama il cunfìn
ch’a àn segnàt tra nu e lòur;
ama il so dialèt inventàt ogni matina,
Tu difendi, conserva, prega:
ma ama i poveri: ama la loro diversità.
Ama la loro voglia di vivere soli
nel loro mondo, tra prati e palazzi
dove non arrivi la parola
del nostro mondo; ama il confine
che hanno segnato tra noi e loro;
ama il loro dialetto inventato ogni mattina,
E prima di tacere per sempre e chiudere con gli ologrammi di Epifanio e Nunzio, Pasolini vuol ribadire con forza:
“Io sono un uomo antico, che ha letto i classici, che ha raccolto l’uva nella vigna, che ha contemplato il sorgere e il calare del sole sui campi, tra i vecchi, fedeli nitriti, tra i santi belati; che è poi vissuto in piccole città dalla stupenda orma impressa dalle età artigianali, in cui anche un casolare o un muricciolo sono opere d’arte, e bastano un fiumicello o una collina per dividere due stili e creare due mondi.
Non so quindi cosa farmene di un mondo unificato dal neocapitalismo, ossia da un internazionalismo creato, con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo“.
FINALE
Alla fine del loro viaggio Epifanio e Nunzio “come due angeli, salgono di buona lena su su per gli spazi cosmici, gli stessi in cui era cominciato il nostro poema. Intorno solo silenzio e vuoto. Ai loro piedi, laggiù, c’è la terra, che gira, una palla colorata, infinitamente lontana.
Dal mappamondo laggiù viene un confuso brusìo di voci, grida, canti.
Epifanio ascolta, si alza e guarda la terra con simpatia:
“Eppur, comm tutt le cumete, pur la cometa ch’agg seguit’ io è stata na strunzata… ma senza ‘sta strunzata, Terra, i nun t’avess canosciuta”
E si asciuga gli occhi inumiditi da certe misteriose lacrime di gratitudine.
“Maaa… e mò?”
Nunzio si è chissà perché un po’ racconsolato:
“Embè, sor Epifa’ – risponde Nunzio - nun esiste la fine… aspettamo… qualcosa succederà…”
Tante cose sono successe, infatti, ma Pasolini non era più qui.
www.paoladigiuseppe.it
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