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Voci di rugiada

Regia di Marco De Angelis, Antonio Di Trapani vedi scheda film

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La recensione su Voci di rugiada

di OGM
7 stelle

Nishikigi è una bacchetta d’amore, un ramoscello portafortuna. Hosonuno è un tessuto, largo come il telaio, stretto come il petto che non è raggiunto dall’amore. Shite e Tsure li portano in mano, come pegni della loro passione irrealizzata. Sono i fantasmi di due amanti che hanno continuato  a desiderarsi, a distanza, per mille giorni, senza mai potersi incontrare. Lui, ogni sera, depositava il suo bastoncino colorato davanti alla porta della casa di lei. Lei avrebbe voluto raccoglierlo, per esprimere il proprio gradimento, ma era tenuta prigioniera, costretta a tacere, a non rispondere, se non con la voce anonima del  filo che correva avanti e indietro,  per intrecciare la tela.  Waki è il viandante che trova gli spiriti sulla sua strada, e rivolge loro la parola. È il protagonista, perché senza di lui la storia non potrebbe essere narrata. Ma è anche un personaggio secondario, poiché del racconto è solo interlocutore e testimone. Marco De Angelis e Antonio Di Trapani affidano all’attore italo-giapponese Hal Yamanouchi il ruolo principale, in questo loro cortometraggio d’esordio, ispirato ad un poema teatrale di Zeami Motokiyo (1363-1443). Il film è una nebbiosa miniatura dei sogni perduti, immersa nella natura che, come nella tradizione del cinema d’oriente, si piega docilmente ai vaghi umori degli uomini, alla loro indefinita tristezza, alle loro speranze che non trovano approdo. La foresta silenziosa è il paesaggio di un sublime smarrimento, come quello del viaggiatore che ha perso la strada, e quello delle anime in pena, che non appartengono a questo mondo. Il pellegrino e i forestieri: la favola nasce quando i loro destini errabondi si incrociano in uno spazio e in un tempo che li vedono ugualmente estranei, e dunque possono rappresentare, per loro, l’immensa casa dell’assoluto. Nella sua vastità i loro drammi risuonano come un canto a più voci, che produce un’eco universale.  La bruma è il dubbio che si fa trasparente, sovrapponendo sogno e realtà. Nel vento d’autunno sento il richiamo delle prime oche selvatiche. Di chi è la missiva che portano sulle ali? L’impalpabilità è la condizione che permette all’individuo di invadere l’infinito, rendendo tutto simultaneamente vicino e lontano. Perfino quella sventura umana che è l’irrequietezza senza meta può docilmente declinarsi in pazienza, nel momento in cui si lascia trasformare in aria. Il mio cuore è come una nuvola, attaccato a nessun luogo. Camminare è scorrere, come le lacrime, come l’acqua del fiume. È svanire, ignorando le distanze. La vita non è che un’ora, l’asilo di un istante. Il senso diventa liquido, fluttua nell’atmosfera, quando tutto è risultato vano. Ce lo ricorda il coro, nell’opera originale: E tempesta. Alberi perdono le foglie, sorpresi da improvvisi rovesci! Autunno! I nostri piedi sono intrappolati nelle foglie intrecciate, affogate nella rugiada. L’ombra eterna è solitaria, e sola rimane  l’ombra della montagna.  

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