Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
I film di Soderbergh non sono mai come appaiono. Regola da non dimenticare e che vale soprattutto per i film che sembrano realizzati come meri (?) incarichi commerciali. Magic Mike, parabola di uno stripper che tenta di scalare le vette del Sogno Americano, è un condensato del cinema americano classico. Il palestrato Channing Tatum, con un rovesciamento di fronte geniale, si trova nei panni e nella situazione della classica gold digger della commedia screwball e oltre (le belle ragazze finto sceme che in tempi di depressione accalappiavano il miliardario di turno). Il glamour, però, cede il posto ai lustrini da quattro soldi di uno strip club maschile e non c’è nessun Busby Berkeley a coreografare i numeri ginnici in cui il sesso è soprattutto una roba “fantasmatica” (e su questo ci sarebbe da scrivere interi saggi). Insomma: i sogni di successo sono forse gli stessi, ma neri uragani si addensano all’orizzonte e non basta fare quattro lavori contemporaneamente (compreso il muratore) per farsi accettare i soldi in banca. Non in questa economia post Bush. E se l’euforia sembra regnare sovrana, alla fine lo stripper muscoloso non può far altro che ritrovarsi solo sotto la cupola del suo club, smarrito. Ad attenderlo, un amore. Forse. Soderbergh, ancora una volta, mette in scena puro cinema politico americano, celandosi dietro il sorriso di chi tenta di farti credere che Magic Mike è “solo” un remake maschile di Flashdance.
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