Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Ci sono film che possiedono quel quid che ti ispira simpatia. Questo a me ha suscitato un che di antipatico fin dalle prime immagini. E mi dispiace dirlo, perchè ho amato quasi tutti i film di Soderbergh. La sua ormai sterminata cinematografia ne ha fatto uno dei cineasti più eclettici ed imprevedibili di Hollywood. E il bello è che è riuscito a sfiorare l'eccellenza con qualunque genere egli si sia cimentato, dal coraggioso e singolare "Bubble" al monumentale doppio progetto sul Che, passando per la brillantissima e popolare saga di "Ocean", dal pluripremiato "Traffic" al pretenzioso "Solaris". Al suo ultimo periodo appartengono poi quei due auttentici gioielli che sono "The informant" e "Contagion". E bisogna anche rilevare che, oltre al successo di pubblico, quasi tutta la sua produzione ha incassato anche il giudizio favorevole della critica. Una carriera, dunque, benedetta da Dio, potremmo dire. A dire il vero, il suo penultimo film aveva provocato qualche malumore presso la critica più esigente, forse perchè qualcuno non si voleva rassegnare all'idea che Soderbergh avesse diretto un purissimo e scatenato action movie. Per quanto mi riguarda, invece, ho apprezzato anche "Knockout", film degnissimo, impreziosito dalla presenza di Gina Carano, sorridente atleta americana che il cineasta ha saputo intelligentemente valorizzare come attrice, collocandola nel contesto di un action movie che pareva costruito apposta intorno a lei. Insomma, il concetto è semplice: S.S. ama cambiare sempre ed ogni volta colpisce nel segno. Ma questa volta si è mosso male fin dall'inizio, mettendo avanti il piede sbagliato. Prima di tutto la scelta del contesto narrativo. Parliamoci chiaro; se si parla di erotismo, e nello specifico di corpi maschili esibiti alle donne, e se lo si fa in chiave di blockbuster mainstream patinato, tutto questo significa solo una cosa: l'intenzione di "vincere facile". Non c'è bisogno di tante speculazioni intellettuali per afferrare il concetto: Soderbergh sapeva bene (e con lui coloro che ne hanno finanziato il progetto) che si sarebbe andati a colpo sicuro. E, da ammiratore del regista, posso aggiungere che sono stato destabilizzato da questa scelta, perchè Steven aveva finora operato scelte più o meno tranquille, spesso incoscienti, ma mai "furbe". Questo era tutt'altro che un salto nel buio, e infatti il film è schizzato subito ai vertici del box office USA, incassando una montagna di soldi, e attualmente svetta anche dalla cima della nostra classifica italiana. Attenzione: io non ho detto che è un brutto film, (un regista intelligente, colto e dotato come S.S. non farà mai un brutto film). Però è un film, ancorchè tecnicamente perfetto, decisamente furbo e ruffiano. Lo dico papale papale: alla fine non ne potevo più di questa gioventù palestrata e abbronzata, quest'umanità che ha come unici punti fermi la birra, la gnocca e i soldi. Soderbergh mette in scena questo materiale umano senza giudicarlo e condannarlo, com'è giusto che sia (tanto che qualcuno ha parlato di docu-fiction), ma tuttavia qualcosa che non torna c'è. Da una parte una sorta di filtro patinato che mi ha irritato, ma la cosa più insopportabile è quel finale che pare quasi vergognarsi di essere un pò buonista e un pò no...così forzato e per nulla credibile, con quell'incrociarsi di due destini...il giovane che vola verso Miami incontro ai soldi e alla gnocca e il "vecchio" che si ravvede, folgorato dalla ragazza virtuosa e sensibile, e finalmente capisce "cosa conta veramente nella vita". E' imbarazzante vedere quest'omone scioccone e gnoccolone balbettare piagnucolando "quello che dimena i glutei là su quel palco non sono io, io sono diverso!!!" (sì, vabbè, ciao). Che poi c'è anche il siparietto che ce lo mostra come appartenente alla workin' class, mentre fa il muratore, credibile quanto un pesce in bicicletta. E, si badi bene, la stampa "de sinistra" ne ha parlato molto bene, come Boris Sollazzo su "Pubblico", che rinnova la menata secondo cui Soderbergh è di nuovo alle prese col "ventre molle della società americana". Ma quale ventre molle! Quelli sono cialtroni che fanno soldi sfruttando l'idiozia e la repressione di mogli e fidanzate sfigate! Se S.S. avesse davvero voluto fare un film dotato di sottotraccia politica, avrebbe mantenuto i "numeri" dei ragazzi sullo sfondo: e invece gli spogliarelli, pompati ed esibiti in modo decisamente compiaciuto, sono così numerosi da testimoniare che si tratta di operazione commerciale. Se il mondo di questi giovanottoni tatuati e palestrati è angusto nei propri ideali e ristretto a quelle due o tre cose di cui non possono fare a meno, ci sarebbe un capitolo da aprire sull'universo femminile che popola il film. Posto che è meglio soprassedere sulle poverette che infilano banconote nelle mutande altrui, nel film abbiamo un campionario di femmine emancipate che partecipano a dei menages a trois convinte in questo modo di appagare un loro senso di libertà ed indipendenza (poveracce). Emblematica la figura della psicologa che giace abitualmente col protagonista ma solo se c'è nel letto un'altra donna. Si tratta di un personaggio che il regista si sforza di mostrarci come simpatico e intelligente, ma per me è solo una povera infelice che vaga di letto in letto senza nemmeno lei sapere cosa vada cercando. Tornando allo specifico del film, diciamo di una sceneggiatura carente e banale che trascina stancamente per quasi due ore una storia in cui, tra un numero di spogliarello e l'altro, succede ben poco, se non estenuanti dialoghi, consumati davanti al solito drink, in cui i soggetti non riescono a fare un solo discorso compiuto che non faccia venire il latte alle ginocchia. Risultato finale: un ibrido patinato e fiacco tra "Flashdance" e "Saturday night fever". Channing Tatum e Matthew McConaughey non se la cavano male, anzi aderiscono con talento ai rispettivi personaggi, loro non hanno colpe...il problema è altrove, nel senso di tutta l'operazione e quindi anche nella scrittura di quei ruoli. A proposito di cast, non posso non segnalare Cody Horn, che impersona la fanciulla "per bene" che salva il protagonista dalla perdizione: costei mi ha colpito per la sua speciale inespressività, erano anni che non vedevo un'attrice così inetta ad esprimersi, così incerta perfino nei movimenti. Concludendo. Un passo indietro significa in fondo poco per un cineasta che finora aveva sempre camminato guardando avanti.
Voto: 4
PS: Ho tralasciato di riferire su quel fenomeno di costume che chiunque abbia visto il film avrà potuto verificare da sè: la presenza in sala di gruppi di donne che animano la visione con gridolini e risatine, spesso esaltandosi rumorosamente ai numeri di spogliarello. Su questa umanità sciagurata ho preferito stendere un pietoso velo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta