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Cloud Atlas

Regia di Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski vedi scheda film

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La recensione su Cloud Atlas

di supadany
7 stelle

Il cinema totale secondo i fratelli (o meglio dire fratello e sorella) Wachowski, coadiuvati da Tom Tykwer, che dopo essersi adagiati su “Matrix” (con due sequel che poco avevano da spartire con l’originale se non una concezione di spettacolo evidenziata ad oltranza), continuano a prendersi rischi belli grossi (vedi anche il precedente “Speed racer” (2008)), abbracciando progetti ad alto rischio, non solo per contenuti, comunque trasversali, ma anche in relazione alle aspettative (i flop non fanno mai bene, ed il loro nuovo prossimo film rischia grosso).

 

 

Attraverso un cast multiuso e multiforme, tutti gli interpreti compaiono in più storie (e potrebbe già essere un gioco interessante scovarli tutti in tutte le loro sembianze), ben sei, che fanno capo a sei periodi storici diversi (a volte anche agli intipodi) e chiaramente ambientati in luoghi distanti in tutto e per tutto.

C’è il trapassato e si arriva anche al futuro anteriore (la Nuova Seoul, quella vecchia è ormai sommersa dal mare), su tutto vige il concetto di destino e di reincarnazione, con interconnessioni, rese esplicite appunto dai volti ricorrenti e persistenti.

Un ordine naturale domina il mondo, il tentativo di capovolgerlo aleggia, lo scenario è di grande fascino, vuoi per i continui salti (di certo non si vuole facilitare la comprensione, effetto, secondo me, anche ricercato) e per comunque un racconto che vuole trasversalmente appassionare con enorme sincerità, visto che non viene sempre ricercato l’effetto speciale (rimane comunque un’operazione assai lontana dai fasti di un blockbuster), ma spesso ci si ritrova di fronte a scene aperte al cuore, alla volontà d’animo, alla voglia di aggiustare le cose che non vanno.

In tutto ciò, aleggia l’inevitabile rischio noia, tante cose si sovrappongono e l’impegno percettivo è messo a dura prova, ma in un certo senso, se si entra in sintonia, si viene premiati.

Certo non è facile (e tanto meno può essere obbligatorio), anche il cast sterminato non aiuta come in altri casi avrebbe potuto; Tom Hanks è super impegnato su più fronti, ma non impatta come nelle sue prove migliori, Halle Berry può vantare una grande partecipazione caratteriale, mentre si elevano sul gruppo Jim Broadbent col suo sguardo sempre vispo (senza tralasciare le sue grandi qualità di interprete) e Ben Whishaw che risulta molto doloroso e trasposto, senza scordarsi del feticcio d.o.c. di casa Wachowski, ovvero Hugo Weaving, attore che grazie a loro si è fatto, con merito, un nome.

Una vera e propria opera fiume, a partire dalla durata, che nella sua ottica da tutto sul campo e che alla fine risulta più affascinante (a prescindere lo è, e pure tanto, quasi troppo) che riuscita, e ciò era quasi inevitabile vista l’occasione (altrimenti saremmo passati di scatto al capolavoro epocale).

Irrisolto, ma con innata consapevolezza.

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