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Cloud Atlas

Regia di Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski vedi scheda film

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Scarlett Blu

Scarlett Blu

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La recensione su Cloud Atlas

di Scarlett Blu
8 stelle

Cloud Atlas dei fratelli Wachowski, (i creatori di Matrix) e Tom Tykwer, ispirato al romanzo di David Mitchell, - che mi riservo di leggere - per quanto affascinante e ricco di suggestioni non è un film immediato, e certo non si può coglierne la complessità semplicemente alla prima visione.
La prima volta di fronte a questa opera ambiziosa e visionaria, la mia reazione è stata di profonda perplessità; sei di fronte a qualcosa che ti lascia attonito, stralunato, che tocca qualche corda profonda della tua anima, ma non riesci a digerire tutto, a metabolizzare il messaggio troppo vasto, impegnativo e importante: sembrava tutto troppo confuso, discontinuo e dare un senso alla storia, anzi alle storie che si dipanano nelle epoche, collegarle tra presente, passato e futuro pareva un’ impresa ardua.
Ho lasciato passare del tempo.
 
Mi sono ripromessa di rivederlo e già dopo la seconda visione la mia percezione di tutto è cambiata, e dirò di più, pare sciogliersi e rivelarsi maggiormente a ogni successiva visione, come se dettagli e significati si debbano svelare lentamente.
In tal senso il film mi ha completamente catturata di volta in volta, in maniera sempre più profonda.
Sarà che sento molto questa tematica, che mi coinvolge e mi affascina, il senso dell’esistenza, delle vite e come esse siano collegate, anche e soprattutto determinate dalle nostre azioni giuste o sbagliate.
Parole, azioni, tutto ha un peso, tutto ha importanza.
Tutto è connesso, vero messaggio del film.
È l’antica legge del karma, concetto legato alla reincarnazione, credenza abbracciata da alcune religioni che si sintetizza nella frase:
 
“La nostra vita non è nostra; da grembo a tomba siamo legati ad altri, passati e presenti, e da ogni crimine e ogni gentilezza, generiamo il nostro fututo..."

Vita e morte sono collegate addirittura si compenetrano.
 
La metafora che mi sembra più efficace a suggerire il senso di ciò che ho visto è come quando qualcuno che non riesci a vedere lancia un sasso, e il sasso ti colpisce, ma non sai da che parte è arrivato, non né conosci l’origine; è profondamente innata nell’uomo la necessità di scoprire quell’origine, quel filo che collega vite ed esistenze e le determina.


La verità profonda delle cose, il segreto o forse il senso (o non-senso?) della vita stessa di cui noi siamo gli artefici nel bene e nel male.
 
Storie e personaggi sono collegati da un filo sottilissimo che non è sempre facile dipanare, che si srotola nell’arco del tempo in strane spirali contorte, interseca vite, destini, amori che tornano, anime segnate da strani tatuaggi o voglie a forma di stella cometa, come segnali di riconoscimento, indizi che li collegano tra loro.
 
Così incontriamo 6 storie diverse tra passato, presente e futuro, che saltano magicamente da un genere all’altro, tra dramma, commedia, thriller e fantascienza, senza che tutto risulti neppure troppo forzato, benché i passaggi temporali alternati diano un vago senso straniante, come se tutte le storie avvenissero in contemporanea (elemento che potrebbe avere una qualche valenza simbolica, come dire, tutto e ora): così il film si apre nel 1849 quando un giovane notaio Adam Ewing, scoperti gli orrori della schiavitù, aiuta uno schiavo fuggiasco imbarcato come clandestino su una nave, dove un medico malvagio ed egoista cerca di avvelenarlo (primo personaggio di Tom Haks che interpretata quasi tutti ruoli negativi, con un brutto karma, e la sua ultima vita difficile e tormentata in senso fisico e spirituale, in un futuro post apocalittico, 106 anni dopo la caduta, forse è la somma/conseguenza di tutte le altre).
Nel 1936 la vita di un giovane copista, Robert Frobisher, che collabora alla stesura di un’ opera musicale, l’Atlante delle nuvole, (e per qualche caso misterioso legge il vecchio diario personale del notaio vissuto in epoca ottocentesca) ingannato e sfruttato dal vecchio compositore per cui lavora, è collegata a quella di Luisa Rey (Halle Barry) giornalista degli anni '70 che indaga sulle attività di una multinazionale per cui lavora il dottor Sixmit, anni prima amante del giovane copista suicida.
Invece, la storia di un editore braccato dai suoi creditori è risolta come la tragicommedia di un uomo che cerca di fuggire dalla casa di riposo in cui il fratello risentito lo fa rinchiudere con la scusa di proteggerlo.
 
Ma la storia forse più emblematica (e meglio scritta) che suggerisce il senso profondo del film è quella ambientata in una futuristica e impietosa New Seul; una non troppo velata critica alla società dei consumi, dove di parla di sfruttamento dei lavoratori, individui ridotti a cloni riprodotti in serie come numeri, che non hanno diritti né libertà alcuna, e il loro unico scopo è quello di contribuire alla produzione per soddisfare – in qualsiasi modo - i consumatori.
Somni 451 è uno di questi cloni che si ribella al sistema, aiutata da un capitano partigiano ribelle, che le dà modo di diventare consapevole di sé stessa e di conoscere la verità (ma quale? La sua personale o quella dell'umanità intera?) e che lei si troverà a diffondere, diventando una sorta di figura messianica e rivoluzionaria per le future generazioni.
Così il film affronta la nascita del mito, della divinità e della religione e di quello che gli uomini costruiscono intorno a essa, le strutture che nascondono il messaggio originario, talvolta lo travisano e molto spesso lo modificano.
Questo episodio che si lega alla vicende ambientate nel futuro dopo la caduta, con un Tom Hanks regredito pastore superstizioso e tormentato dal demonio, - forse la summa delle sue colpe nelle vite passate? - può essere letto come una metafora alla nascita delle religioni e alla loro influenza sul nostro pianeta.
 
Troviamo diversi personaggi per differenti storie interpretati dagli stessi attori, a volte resi irriconoscibili da trucco e parrucco: Tom Hanks, Halle Barry, Susan Sarandon, Hugh Grant, Jim Sturgess solo per citare i più noti.
 
Certo, non tutto nel film è chiaro, la sceneggiatura sembra contorta e talvolta sembra portarci fuori strada, ingannarci e farci credere altro, forse è perfino qualcosa di voluto, come un disegno che preso nei singoli dettagli non è facile comprendere, se non visto nel suo insieme.
Ma è proprio la visione di questo insieme che a noi risulta pressoché impossibile.
Un film imperfetto, apparentemente incontrollato, di cui molto spesso e facilmente ci sfugge il senso che ci pare inafferrabile; questa è la critica più comune che gli viene mossa e che mi è capitato di leggere.
Ma io mi domando: la vita è forse chiara, lineare e limpida, giusta come vorremmo? È pace e armonia? Equilibrio precario?
Per me è piuttosto un caos allucinante a cui tentiamo disperatamente di dare un senso, talvolta impossibile da trovare. Forse perché il senso non esiste. È solo qualcosa che inventiamo noi.
E il bello sta proprio qui. Il bello di questo film.
 

Su Tom Hanks

Non sono d' accordo con chi lo ha trovato poco convincente, goffo o fuori parte. Gestisce i suoi personaggi con la solita abilità, rendendoli credibili, soprattutto il fragile pastore della tribù primitiva, Zachry. Un grande attore, come sempre.

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