Regia di Julian Gilbey vedi scheda film
Quando per pigrizia mentale e critica più che altro, si legge o ascolta in dei formati professionistici editoriali, dell'accostamento di "A Lonely Place to Die" (di Julian Gilbey che aveva già dato ampiamente tutto il meglio di sè da anni prima di questo, con "Rise of the Footsoldier"), con una pietra miliare e termine di paragone di tutto il cinema survivalistico come "Un Tranquillo week-end di paura"(Deliverance)(1972), di John Boorman. Fotografato da un certo Vilmos Zsigmond, rispetto a cui al netto dell'usura delle forme di espressione del mezzo cinematografico già negli anni 2010, e dell'esaurimento delle sue forme estetiche, nulla può il pur volenteroso Asi Asad, dop con le Arri 5digital HD.
Dalle fondamenta stesse e virili del genere siamo quantomai lontani, e che oggi da più parti si definerebbero certamente "scorrette", infatti a partire già dai primi venti minuti trascorsi-e persi- tra stolidi, quanto mai banali, tediosi, dialoghi finto sbarazzini fra le tre coppie uomo- donna protagoniste, e soprattutto le seconde hanno le qualità morali ed etiche, che i primi paiono aver perso del tutto, o quasi. Eh sì, anche in un genere maschile quasi per eccellenza come era questo prima dell'avvento del femminismo imperante sotto varie molteplici forme, più o meno striscianti, nell'intrattenimento audiovisivo degli anni '90-2000(almeno occidentale); ma non sarebbe neppure questa chissà che grande scivolata, la quale invece risiede proprio nel tipo di linguaggio sempre più frammentario, e soprattutto estetica fotografica e del montaggio, nettamente figlia dei suoi anni e già apparentemente datata, con cui esso è realizzato.
Non che non possa essere anche così eh, nulla da dire in contrario, ma è soltanto la constatazione di uno stato di cose, sempre utile da rimarcare laddove certi titoli sono accolti e promossi con peana e odi a prescindere, il che dovrebbe aiutare qualcuno a porsi certe domande.
Melissa George, Karel Roden e soprattutto Sean Harris ovviamente nella parte più malvagia e diabolica, sono scelte di cast solide che ben incarnano i loro personaggi.
La seconda parte cambia registro dal genere survivalistico, e diventa un film di assedio urbano in un piccolo centro di campagna dell'Inverness scozzese durante una notturna festa locale paesana, e con molto di folk pagano, che strizza l'occhio a celeberrimi titoli britannici del cinema "folk-horror". Persino fin dentro ad un poco attrezzato posto locale di polizia, rievocando un pò suggestioni da "Cane di paglia", senza però il montaggio di Roger Spottiswoode, e tantomeno la fotografia di John Coquillon.
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