Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
''Che noi qui solennemente si prometta che questi morti non sono morti invano; che questa nazione, guidata da Dio, abbia una rinascita di libertà; e che l'idea di un governo di popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra''.
Folla silenziosa, nessun applauso. Dissolvenza.
È su queste parole ed immagini che si chiude l'ultimo lungometraggio di Steven Spielberg, tornato per l'occasione al racconto storico. Un film importante, ambizioso, politico. A suo modo una novità assoluta nell'opera dell'autore americano che qui rinuncia per la prima volta ad una regia protagonista e virtuosa per concentrarsi principalmente sulla potenza di un testo che oggi fa rabbrividire. Non è tanto la guerra di secessione o l'affresco iconico di un grande leader come Abramo Lincoln ma il peso delle azioni e delle responsabilità che centocinquanta anni dopo non percepiamo più, nemmeno minimamente. E sì che la corruzione esiste da sempre, nel film se ne percepiscono già chiari esempi ma la differenza sta tutta nello scopo. Nella fattispecie si tratta di un momento fondamentale della nostra storia: l'approvazione del tredicesimo emendamento e la conseguente abolizione della schiavitù. Temi scottanti che ancora una volta puntano il dito dritto contro di noi, ad ammonirci per aver dimenticato, anno dopo anno, sempre più. Spielberg orchestra sommessamente un'opera necessariamente verbosa, stagliata in una cupa illuminazione riflettente l'oscurità di un periodo sanguinoso e lo fa rinunciando scientemente a spettacoli visivi o ad impennate di ritmo. La tensione la fanno i contenuti, le situazioni ed i personaggi che le popolano fra dolori e passioni, tutto perfettamente amalgamato ed impreziosito da una ricostruzione d'epoca ineccepibile. Scenografie, trucco, costumi, fotografia, persino le musiche, tutto al momento e nel posto giusto, senza che queste vadano mai ad intaccare il fluire della narrazione. Noioso? Può darsi. Senz'altro prezioso anche per una ragione squisitamente interpretativa. Fondamentale il cast, perfettamente selezionato e interamente all'altezza della situazione. Sally Field, Tommy Lee Jones, James Spader, Jospeh Gordon Levitt, Michael Stuhlbarg, David Strathairn, Hal Holbrook, ciascuno preziosissimo nell'offrire diverse sfumature ad una grande storia che ci riguarda tutti. E al centro di tutto Daniel Day Lewis, ancora una volta monumentale, dona ai posteri un'altra grandissima prova di mimesi ed interpretazione mai fine a sé stessa. Il suo è un Lincoln spesso ranicchiato, seduto, con lo sguardo a terra come ad avvertire costantemente sulle spalle l'enormità di un peso disumano. Trascinato, pacato, stanco eppure capace di ridestarsi, di riaccendersi in un battito di ciglia, il tempo di un aneddoto folgorante e lo ritrovi lì combattivo e carismatico come pochi altri, pronto a dominare la scena in tutta la sua statura. Talento incommensurabile, nonostante il doppiaggio.
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