Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Se le conseguenze dell’assassinio di Lincoln sono ritratte da The Conspirator di Robert Redford, che si apre esattamente alla conclusione del film di Spielberg (il quale, forse volutamente, omette la scena dell’omicidio), le due pellicole condividono l’idea di una verità sporcata dalla necessità politica. Gli attentatori del Presidente, effettivi o improbabili che siano, vengono mandati alla forca per rendere oltremodo evidente una giustizia che, amaramente, si cancella proprio nel volersi manifestare esemplare. Al contrario, il pragmatismo politico di Lincoln avanza con pratico cinismo ma mosso da un più alto intento, alla ricerca e alla conquista di una uguaglianza tra bianchi e neri che renda effettiva l’utopia democratica della Costituzione Americana.
Scisso tra contemplazione dell’icona e ritratto privato, il biopic di Spielberg si concentra sulla fase finale della guerra di Secessione e sulla volontà del Presidente di legare la pace all’abolizione della schiavitù, irrinunciabile per l’economia sudista basata sullo sfruttamento delle piantagioni. Graficamente attento al rispetto dell’immagine nota del Presidente, il film lo mostra quasi sempre di profilo e negli interni, domestici e politici, della Casa Bianca, in famiglia e a stretto contatto con i figli minori e la moglie. Anche la gestione della cosa pubblica sembra muoversi in questo ambito familiare, tra aneddoti introduttivi, l’amicizia sovrastante i rapporti di lavoro, rimanendo distinto e lontano dal dibattito del Congresso mentre presenziare costantemente agli incontri con i concittadini. La prima entrata in scena lo mostra Comandate in Capo dialogante sul campo di battaglia con i suoi soldati, attento alle rivendicazioni e pronto a spronarne le passioni.
Monologante e aulico nei toni e nei contenuti, ma dimesso nelle vesti e negli atteggiamenti, Lincoln giganteggia per statura fisica e morale, incurvato da un peso che diventa simbolico nel guidare verso la giustizia la propria nazione, imperterrito nel perseguire il disegno di una verità interiore indiscussa per la quale la compravendita dei voti a favore non è che un contrattempo necessario, una schermaglia accademica dalla finalità strategica.
Così come il precedente Amistad, che già affrontava il tema dello schiavismo (dopo l’excursus melò del Colore viola) e metteva in scena un Presidente Americano - Adams, in pensione - nelle vesti del difensore degli oppressi, anche Lincoln sembra un courtroom drama dalla prevalenza verbale, dove il dibattito legale diventa morale e si sposta dalle aule del tribunale all’aula del Parlamento senza perdere verve né suspense, e la parola viene data ai congressisti mentre il Presidente rimane persuasore occulto e in ombra.
Visivamente, il film si dibatte tra l’icona e la persona, tra la figura pubblica e la sua dimensione privata e, parallelamente, Spielberg sembra incerto tra l’esposizione della consueta potenza visiva e la modestia della semplice fedeltà storiografica che raffrena la visione, correndo il rischio dell’eccesso di discorsi e della preminenza dell’immaginario classico sull’immaginazione. Lincoln arriva dopo l’esperienza apparentemente calligrafica di War Horse, un esercizio nella classicità, soprattutto, in cui Spielberg ripercorre le tappe della propria produzione dalla serenità apparente dell’infanzia alla caduta nella follia della guerra, vissuta e riflessa nello sguardo enigmatico del cavallo da macello armato, vittima ancor più inconsapevole dei soldati. Ed è ancora sulle tracce della classicità che le luci di Kaminski variano in entrambi i film dal livido al brillante, imitano in Lincoln il bianco e nero e la piattezza della prima fotografia mentre in War Horse osano la profondità del campo lungo dell’illusione di una visione totalizzante e la munificenza coloristica del primo technicolor; ma, in entrambi i casi, citano i registi fondatori del mito cinematografico americano nell’uso delle ombre o del controluce.
Con modestia, senza rischiare l’enfasi nella sottolineatura, Spielberg cerca la chiarezza della classicità per accompagnare Lincoln al letto di morte facendone figura cristologica di un sacrificio necessario indossato con dolente ma serena consapevolezza, per riportare l’icona nell’alveo della storia e la persona nel lutto di una famiglia che si allarga ad abbracciare un’intera nazione.
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