Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Un film vigoroso, energico, travolgente. Un film dove baionette si infrangono fra loro. Pugni sbattono sul tavolo. Principi vengono invocati a gran voce…E dove la lungimirante prepotenza di uno ha la meglio sulla bieca irragionevolezza di molti.
Lincoln (2012): Character poster Daniel Day-Lewis
Bene: questo è il Lincoln di Spielberg condensato nei 2 minuti del trailer. Qual è, invece, il Lincoln dei rimanenti 148 minuti?
Uno stucchevole gioco politico “in costume", interessante come un bel soprammobile d'epoca (Mulligan71). Un film algido, freddo, incapace di trasmettere commozione e di seminare momenti di grande Cinema (BobtheHeat).
Il Lincoln (riferendomi a D.Day-Lewis) di Spielberg è un uomo che - contrariamente a quanto si vede nel trailer - non fa la voce grossa (quella, da noi, di Pierfrancesco Favino) - invocando il suo “potere immenso” (che gli hanno dato le leggi speciali furbescamente approvate in tempo di guerra) - per imporre il suo credo (l’abolizione della schiavitù); preferisce abbandonarsi ad apologhi pedanti piuttosto che lividi ricordi. E’ un uomo avanti con gli anni (e si nota) che non perde occasione per dispensare saggi (quanto sibillini) consigli a orecchie troppo stanche di stare ad ascoltare i suoi interminabili, logorroici pistolotti. Quelle del ministro della guerra E.McMasters Stanton (B.McGill)? No (o meglio: non solo le sue); le nostre (anche se nell’occasione cui mi riferisco l’aneddoto del Presidente fu davvero spassoso)!
Eppure i momenti emozionanti (quasi tutte le sedute del Congresso, caratterizzate da una scoppiettante animosità che oramai solo nel nostrano Parlamento troviamo immutata a distanza di 150 anni) o esilaranti (“e poi dove si andrà a finire? Il voto alle donne? Il suffragio universale??” e giù, il Congresso, a urla di sincera disperazione) non mancano, ma, a parte il fatto che sopraggiungono quando ormai Morfeo ha svolto il suo lavoro (giuro di aver sentito russare in sala dopo neanche mezz’ora di film), risultano comunque soffocati dalla pesantezza complessiva dell’opera.
Se già la storia descritta non aiuta (quantomeno noi europei: per metabolizzare - e digerire - il fatto che i “cattivi” siano i democratici e i repubblicani i “buoni” - peraltro, a loro volta, divisi in varie fazioni - ci passa un po’ di tempo), perché calcare il piede sul pedale della verbosità al cubo? Posso capire che il rischio di scivolare sulla buccia della facile, tronfia retorica fosse una preoccupazione ben presente, ma qui si passa da un estremo all’altro (complice l’inspiegabile latitanza delle collaudate orchestrazioni di John Williams: BobtheHeat)!
E poi qualcuno faccia star zitta quell’acida megera della moglie (Sally Field): schiamazza, sproloquia, dà libero sfogo alle sue turbe mentali e ancora nessuno l’ha rinchiusa in manicomio (mistero).
Insomma, un film che, per onestà intellettuale, meriterebbe al massimo tre stelle: io però, da democratico guastafeste (quale sarei se fossi americano), gliene ne do 2 soltanto (giusto per frenare un po’ d’inspiegabile, eccessivo entusiasmo). E a chi mi chiede di dar conto della generosa cascata di nominations agli Oscar 2013 rispondo lapidario:
chiamasi patriottismo auto-assolutorio (da sempre un debole dell’Academy).
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