Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
In parte basato sulla biografia Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln della scrittrice Doris Kearns Goodwin, il film sceglie saggiamente di focalizzarsi soltanto sugli ultimi quattro mesi del XVI presidente degli Stati Uniti d'America. Spendersi su un'intera vita di un uomo, infatti, avrebbe senz'altro compromesso la riuscita del progetto, esautorandone la forza morale e la profonda analisi della "missione" o "vocazione" all'abolizione della schiavitù, sul volgere al termine della Guerra di Secessione. Non ci si preoccupi di questo. Anche i più ignoranti in materia avranno modo di conoscere il quadro conciso e preciso dello scenario storico, in pochi minuti, fin dalla chiara esposizione iniziale.
Se ne dovessi qualificare il genere, credo sceglierei il termine politico. Sì, rispetto alle consuetudini di Steven Spielberg questo potrebbe suonare come una novità e molti non hanno invero mancato di sottolineare tale aspetto, chi in positivo e chi in negativo. Per quanto mi riguarda, il (presunto) azzardo è superato alla grande, senza sbavature. L'arte oratoria è logicamente dominante sui fatti e sulle azioni, richiede attenzione costante e concentrazione. Il ritmo è compassato, ma permeato di tensione e lezioni di vita impartite con efficacia. Il filo conduttore non è né l'immagine né la musica ma la parola. L'essere riusciti a evitare l'apatia in un'opera di tale spessore intellettuale, per giunta con il noto epilogo già scritto, rappresenta di certo una delle scommesse vinte.
Politica, dicevo. Di fatto si tratta di una reificazione di quello che Niccolò Machiavelli definiva con l'espressione «si habbi nelle cose a vedere il fine e non il mezzo», la cui corretta esplicazione, di contro a un diffuso errato pensiero, sarebbe in chiave più nobile che spregiativa. In De Principatibus si legge appunto che un simile comportamento è valido solo per conseguire la salvezza dello Stato, la quale, se è necessario, deve venire prima anche delle personali convinzioni etiche del Principe, poiché egli non è il padrone, bensì il servitore dello Stato. Concetti che ben si confanno alla corruzione e alla compravendita di voti illustrate sullo schermo, attuate allo scopo di approvare il XIII emendamento e abolire la schiavitù. Un "bene comune" di tutt'altro spessore in confronto ai beceri mezzucci cui siamo abituati assistere da parte di chi ottiene il potere, sovente in soddisfazione esclusiva dei propri interessi personali. Quanto siamo caduti in basso... il raffronto è impietoso. La vena comica di certi espedienti penso alluda proprio a questo aspetto. Si ride per non piangere della nostra meschina realtà.
Per quanto concerne i personaggi, mi ha colpito subito la meticolosa attenzione dimostrata nella cura con cui è stata condotta l'oculata selezione del cast, fedele nella somiglianza tra volti ritratti e attori, impressionante in molti casi, pressoché identici. Ormai è inutile soffermarsi nell'elogiare le interpretazioni. Lo straordinario risultato di Daniel Day-Lewis (Abraham Lincoln) ha una notevole fama a precederlo, con largo anticipo. Subitamente seguito da comprimari del calibro di Sally Field (Mary Todd Lincoln) e Tommy Lee Jones (Thaddeus Stevens).
Anche da un punto di vista prettamente tecnico è all'avanguardia. I pregi non mancano affatto. La colonna sonora è delicata e intima, mai invasiva, per una palese volontà di rispettare l'anima del film. Già implicitamente accennato a trucco e parrucco, un lavoro eccellente, posso soltanto aggiungere il reparto costumi. Menzione speciale per scenografia e fotografia, di alto livello senza dubbio. Il tutto valorizzato da una sapiente regia, in grado di indovinare le giuste inquadrature, i tempi per la riflessione, per le frivolezze e per la commozione, ciascun ingrediente nella dose e nel momento più opportuni. Basti pensare alle vittime della guerra, ai volti umani, al suono delle campane, alle luci soffuse, al toccante finale...
A chiunque avesse apprezzato l'opera in questione, suggerisco infine un'ottima prosecuzione della trattazione, differente ma su toni importanti e tematiche affini, riscontrabile nell'ingiustamente sottostimato The Conspirator (2010), diretto da Robert Redford, interpretato fra gli altri da James McAvoy (Frederick Aiken) e Robin Wright (Mary Surratt).
In una nazione divisa e spazzata dai venti del cambiamento, Abraham Lincoln osserva una linea di condotta che mira a porre fine alla guerra, unire il Paese e abolire la schiavitù. Avendo il coraggio morale ed essendo fieramente determinato ad avere successo, le scelte che compirà in questo momento critico, gli ultimi tumultuosi mesi in carica del sedicesimo presidente degli Stati Uniti, muteranno il destino delle generazioni future.
Collaborazione inossidabile negli anni è quella con John Williams, in un sodalizio garante di qualità. Il respiro non è ampio o imponente come in altre occasioni, ma è comunque una composizione solenne che trova nella discrezione la sua miglior espressione al servizio delle immagini, senza mai sostituirsi ad esse.
Niente di niente.
Da vero maestro quale lui è, ecco l'ennesima prova del suo saper spaziare con disinvoltura in qualunque genere.
Presidente Abraham Lincoln. Incommensurabile è dire poco, ne pare la reincarnazione. Estro da Oscar.
Robert Todd Lincoln. Piccolo ruolo senza grandi sorprese.
Thaddeus Stevens, leader dei repubblicani radicali. Concreto e incisivo.
Ulysses S. Grant, luogotenente generale e comandante di tutti gli eserciti dell'Unione. Composto.
Il repubblicano William N. Bilbo. Assai simpatico.
L'ardente oratore democratico Fernando Wood. Adeguata prestanza e presenza scenica.
Vice Presidente degli Stati Confederati, Alexander H. Stephens.
La First Lady, Mary Todd Lincoln. Una comprimaria d'indubbia intensità.
George Yeaman, democratico del Kentucky.
John Hay, assistente e segretario di Abraham Lincoln.
Il repubblicano Colonnello Robert Latham.
William H. Seward, il Segretario di Stato. Diplomatico come si conviene. Buona prova.
Francis Preston Blair, influente politico repubblicano. Persuasivo.
Wells A. Hutchins, tra i 16 democratici a favore del XIII emendamento. Buffo.
Edwin McMasters Stanton, il Segretario della Guerra.
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