Regia di Wes Anderson vedi scheda film
Ammetto di amare le prospettive di Wes Anderson! Il suo modo di collocare quasi sempre al centro il soggetto per garantirgli l’attenzione dello spettatore, la capacità di spostarlo a lato solo quando è necessario evidenziare lo spazio aperto, rendono l’esperienza visiva qualcosa di unico nel suo genere. Così come l’utilizzo delle inquadrature, che sia attraverso un binocolo o con zoom più o meno enfatizzanti, volti a manovrare l’interesse di chi guarda, o piuttosto la suddivisione dello schermo in due inquadrature ben distinte (anch’essa tipica di Anderson), caratterizzano la pellicola donandogli spessore e qualità. Come quando, ad un certo punto, utilizza la classica “ripresa zoomata” tipica degli anni ’60 o giù di li (quando i due innamorati si trovano agli antipodi di una stessa inquadratura e il regista si avvicina, alternandosi, all’uno e all’altra attraverso l’utilizzo della zoomata facciale) che ribadisce l’appartenenza ad un certo genere ma non storpia la natura della pellicola stessa.
L’altro elemento dominante sono i colori. Le cromie utilizzate con oculatezza in modo da riprendere non solo lo stile degli anni che si tendono a raccontare, ma necessarie a catapultare lo spettatore nell’ambiente circostanze, per quanto bizzarro possa sembrare. Al contempo è anche affascinante notare come Anderson sia capace di utilizzare la fotografia e le luci/ombre per racchiudere nello stesso film più generi. Si passa dalla commedia romantica della prima parte, al thriller/horror della seconda, dove è evidente l’influenza del cinema di Hitchcock (la scena del campanile ricorda non poco gli attimi finali di Sabotatori). I toni caldi e rassicuranti delle prime scene, in cui il pericolo non sembra far parte di ciò che vediamo, lasciano spazio ai colori freddi e inquietanti delle scene finali, dove il regista sembra volerci mettere volontariamente in allarme.
Gli attori talmente bravi e pienamente nella parte che finiscono per diventare integrazione del racconto, a tal punto che, arriva un momento in cui sembra che siano i reali protagonisti e non persone ingaggiate per essere personaggi. Jared Gilman su tutti, spicca per la capacità di donare naturalezza al suo personaggio; la semplicità con cui lo interpreta spiazza ed è evidente che l’intenzione è quella di affascinare, e ci riesce senza sforzarsi poi troppo. Ma anche il trio Bill Murray, Frances McDormand e Bruce Willis, finisce per regalare attimi di puro cinema, imbastendo un triangolo ai limiti della moralità.
Tutto questo e le sensazioni che da questo scaturiscono, sono le pellicole di Anderson; capaci di trasferire lo spettatore direttamente nell’ambientazione e, nonostante i toni spesso esagerati e sfarzosi, finisce per fargli dimenticare che sta assistendo ad una farsa.
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