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Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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La recensione su Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore

di ROTOTOM
10 stelle

Un’isola che forse non c’è, al largo del New England.  Umanità bizzarra contenuta in case di bambole. Una storia d’amore romantica,  fuori tempo, incomprensibile. Il decòr simmetrico dell’inquadratura accoglie lo sguardo di Anderson come la tela attende impaziente il pennello del pittore per vedere ciò che farà.

Moonrise Kingdom è un film raggelato intorno alla dolcezza della storia, come per proteggerla da impurità del mondo esterno. Infagottato nei dialoghi essenziali e vagamente surreali che elevano i personaggi a icone di una realtà alternativa scandita da strampalate unità narrative. Quadri naïf in movimento, attraversati da un sofisticatissimo umorismo più chic che radical, leggero come una brezza di mare, temporaneo come un fuoco fatuo dispettoso, ma elegante. Aleggia una vibrazione cattivella, una scossetta a bassa tensione irrora il quadro di energia, in perfetto equilibrio con le false, meravigliose tinte pastello che ornano il mondo cartoon dei due protagonisti.

Una storia semplice, geometrica e grafica nella sua rappresentazione, trasparente per la purezza cristallina che viene distillata dai due personaggi principali. Una storia d’amore pastello tra due dodicenni, eredi freak della classica famiglia disfunzionale di Anderson. Suzy e Sam portano il peso di una normalità incompresa dai grandi, emozioni più raffinate che li isolano dai coetanei. La fuga d’amore rocambolesca, aggraziata e casta, messa in atto dai due ragazzi per raggiungere un posto a loro misura, è quanto di più perfetta e pulita si sia mai vista al cinema. La fuga mette in subbuglio l’intera comunità, anche in vista di un’imminente tempesta che si abbatterà sull’isola da li a breve.

Tempesta dei sensi, interiore dei due ragazzi, ribelli verso l’ordine esteriore che regola la vita degli adulti. Adulti sempre assenti, assorti in qualcosa d’altro, inespressivi e ottusi. Ognuno portatore però di un lembo di vita che dopo tutto, in un modo d’orgoglio, li salva dall’oblio.

Wes Anderson  e il suo cinema, possono essere considerati il lato opposto dello specchio nel quale si riflette un altro grande creatore di mondi disfunzionali: Tim Burton. Solo che ai mostri freak, isolati e malinconici che abitano  il  mondo dark di Burton, si contrappone una razionale e iperrealistica rappresentazione dell’ordine, colorata e raffinata che cela personaggi in bilico tra la gioia e la depressione, intellettualmente freak, hanno fattezze meno caricate di richiami alla diversità ma aleggia nel loro sguardo il senso di inadeguatezza che li rende corpi estranei al mondo che abitano.

Moonrise Kingom è un piccolo capolavoro vintage, il 1965 è l’anno in cui si svolge la storia. Spira una dolce melanconia retrò, un dolce profumo di cose passate, suoni e gesti che appartengono ad un’altra era. Quella dei sapori, del tempo lento e delle cose imperfette. Le letterine d’amore scritte e spedite, la carta , la penna, l’inchiostro  che non risparmia indiscrezioni sulla personalità dalla calligrafia panciuta che ha lasciato il messaggio. Il mangiadischi portatile colmo di fruscii, il vinile e la puntina consumata. I libri sgualciti, il fascino della lettura. Parole che formano mondi. La bussola. Il vento che confonde i nomi dei luoghi nascosti dalle pieghe della carta topografica. Perdersi per ritrovarsi.

 Il recupero  del passato nei suoi simboli,  ricombinato nell’astrazione intellettuale dalla  tessitura fitta, densa di particolari, compone la cifra stilistica del regista texano più europeo del mondo. Una gioia per gli occhi e il cuore, questo film, nel quale lo sfondo non è solo palco sul quale agiscono i personaggi, ma la complessità degli elementi che lo compongono crea un riverbero esterno del mondo interiore dei personaggi. Un espressionismo snob.

Quindi, straordinario gusto per l’inquadratura, simile a quadri che riassumono ognuno l’anima del film, suscitando nello spettatore uno spostamento di sguardo dalla “trama” generale e alla sua coerenza fatta di situazioni di surreale ironia, alla caratterizzazione delle scene atomizzata nei particolari, nei dettagli solo apparentemente insignificanti. Carrelli laterali che suddividono idealmente gli ambienti in “scatole” colme di oggetti e persone, mischiati una composizione still life di incredibile compostezza e eleganza. 

Come quinte mobili di un brechtiano teatro del surreale – Suzy è attrice nella recita scolastica  - le scene si susseguono combinando modellini e scenari naturali, ove la rappresentazione volutamente artefatta non intacca  l’omogeneità del racconto, ma al contrario ne esalta il senso più profondo.   Ordine e disordine si alternano e scambiano di posto, creando conflitti con la parola e gli oggetti, feticci di una simbologia intellettualmente alta, snob si diceva, forse un po’ nerd.

Analogamente a Il treno per il Darjeeling, dove l’India era il palco naturale sulla quale montare una railroad dissonante e sarcastica,  i paesaggi incontaminati del New England rappresentano la purezza ricercata dalle due giovani anime unite da un amore più grande delle loro stesse vite. Non si può che sorridere e volgere pudicamente lo sguardo altrove nell’approccio, consapevole e impacciato dei due ragazzini. Consapevoli che l’amore si impara, si nutre di parole di silenzi e luoghi, il loro amore è rappresentato da tutto quello che gli adulti hanno dimenticato, rimosso per convenienza, per noia o solitudine. Per questo sono incompresi e un po’ commuovono nella loro ricerca di un posto migliore. Suzy e Sam sono i diversi, sono empaticamente simpatici poiché nella loro diversità si trova quella giusta misura di sentimento, insensatezza e coraggio che rende la vita degna di essere vissuta.

E’ quel sentimento sopito nei genitori di Suzy,  gli avvocati Bill Murray e Frances Mc Dormand che armata di megafono richiama all’ordine i figli. L’insensatezza perduta nel rigore militaresco del goffo istruttore scout Ed Norton. Il coraggio è quello che l’ispettore Bruce Willis non ha mai avuto. E poi c’è l’istituzione, il rigore ottuso e triste che non ha nome proprio ma solo la denominazione istituzionale: Servizi Sociali , Tilda Swinton di blu vestita è un’intuizione formidabile.

Moonrise Kingdom è un film prezioso, da non perdere, purtroppo cacciato fuori in un periodo, quello natalizio, tra i colossi della distribuzione da 800 copie per sala. Ne esce stritolato ma non vinto, film così rimangono impressi nell’anima e un po’ la cambiano. Pregio di ogni opera d’arte che si rispetti.
Si attenda la fine, l’ultima inquadratura per capire cosa sia il Moonrise Kingdom e si raccomanda di restare durante i titoli di coda, quando vengono chiamati in scena, come si conviene alla fine di una pièce teatrale, tutti gli strumenti musicali che compongono la straordinaria colonna sonora.

Viene da chiamarlo capolavoro. Così, spontaneamente, questo film.  

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