Regia di Joe Wright vedi scheda film
Cos'altro si può dire ancora su Anna Karenina? Che altro ha da svelarci?
Nulla. Nulla che non sia già stato raccontato, sviscerato, (psico)analizzato, messo in opera.
Joe Wright lo sa bene. Ed infatti, con animo ardimentoso, volontà incosciente, ambiziosa e sfrontata attitudine, propone la sua versione. No, non la (ennesima) versione del celeberrimo romanzo di Lev Tolstoj, bensì la sua rappresentazione.
Uno studio - filmato, ragionato, impuro - sulla rappresentazione.
Comprensibile, dunque - ma, come detto, audacissimo -, la scelta della forma-teatro.
Il progetto è senz’altro notevole. La realizzazione pure. Certo, l’idea in sé, ed il modo in cui è stata materializzata, oltre a denotare pregevole gusto e raffinata preparazione, implica una cospicua dose di cerebralità che ammanta l’opera di un sottile velo di glacialità. Velo che apparentemente smorza cuore e carnalità; eppure basta guardare meglio, toglierlo con delicatezza e scoprire come i sentimenti pulsino vivi e i tumulti della tragedia disegnino le loro implacabili traiettorie.
La seduzione agisce allo scoperto; e i fili che ne muovono i meccanismi sono in bella mostra, “nascosti” da/in una scenografia regale e meravigliosa.
È più che evidente che qualcuno possa sentirsi disorientato se non irritato dalla manifesta, programmatica presenza delle strutture e dei trucchi di scena mentre la storia fa il suo drammatico, noto(rio), corso. E’ quasi un (compiaciuto) esercizio di mistificazione, di rielaborazione di un componimento classico in un concepimento nuovo - ma non “moderno” - che abbraccia il corpo e lo rende centro nevralgico e complesso di un archetipo.
Ma sono proprio gli artifici a permettere di addentrarsi con naturalezza nel racconto, sempre; gli impulsi emotivi attraversano lo schermo come il sinuoso, fragoroso stridore delle ruote di un treno che porta lontano pur sapendo che è un’illusione.
Illusione/finzione/rappresentazione: il circuito è esposto; turba, manipola, denuda, penetra, nasce cresce e muore. Finisce all’ultima inquadratura, all’ultima pagina. E il pensiero vola via, in quel prato verde fiorito mosso dal vento dentro un teatro.
I cambi di scenario, di sfondo, sono come le pagine di un - “del” - libro sfogliate una ad una; il fruscio che producono, quella sensazione unica e antica e viva, si corrisponde con le musiche intense e profumate di un’architettura sonora voluttuosa, “parlante”. E i movimenti della macchina da presa - volanti, avvolgenti, ispirati, indagatori, poetici - scrutano nell’anima dei personaggi con la stessa forza (tradotta nel “volgare” linguaggio filmico/teatrale) di parole immortali stampate con potenza inimmaginabile nella memoria collettiva.
L’”esperimento” dello studioso un pochino folle Joe Wright può dirsi pertanto più che riuscito: oltre due ore di spettacolo ibrido che seduce, cattura e non lascia via di scampo.
Proprio come la sua protagonista, Keira Knightley, un’indimenticabile Anna Karenina: nobildonna, attrice, diva. Eterna.
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