Regia di Michael Radford vedi scheda film
Un’ottima trasposizione cinematografica di un romanzo che è difficilissimo da rendere in modo serio al cinema, per quanto notoriamente è grandioso, profondo e complesso.
Le scene, scelte dal libro per essere proposte, sono state giustamente poche. L’ambientazione e le scenografie sono perfette. L’atmosfera surreale e disturbante è correttamente enfatizzata dall’accompagnamento musicale, oltre che dalle luci.
La recitazione è adeguata. Ottimo il realismo: nei corpi, sensuali e sofferenti (memorabile il trucco di Winston sotto tortura); nello squallore dell’esistenza grigia e piatta e fasulla imposta dalla dittatura. In tal senso la proibizione del piacere erotico appare nella sua nitida portata psicopatica: il miglior mezzo per asservire la gente è quella di impedire di godere, di essere felici in senso lato.
Inutile dilungarsi sui contenuti: il regista Radford rende bene, per quanto possibile, il clima che Orwell aveva in testa, e che ha mirabilmente trasposto nel suo capolavoro. Il totalitarismo, che negli anni ’40 raggiunge il suo diapason, tra interpretazioni di destra e di sinistra, è affrescato benissimo: col suo prevalere di propaganda retorica, inganno, minaccia, violenza.
Il film trasmette bene quelli che sono due messaggi fondamentali dello scrittore socialista: la cultura è fondamentale per rendere più efficace l’inganno del popolo e dunque degli elettori (e quindi non è certo solo buona di per sé, ma lo è solo se è accompagnata dalla libertà di espressione); la violenza è l’arma di gran lunga più convincente (l’utilizzo del dolore, soprattutto della tortura, sono sempre vincenti: e Orwell mirabilmente denuncia la radicale disumanità di tutto ciò).
Non manca neppure la condanna dei facili idealismi, che lo scrittore inglese (morto purtroppo a soli 47 anni, ma per fortuna non prima di concludere questo scrigno di tesori che è 1984) fece incarnare dai suoi due protagonisti positivi: essi credono che il male dovrà per forza esser vinto dal bene, per una forza di divina provvidenza; e che l’amore, il loro amore, suggellerà tale trionfo ineluttabile del bene sul male. In realtà è il contrario: se ci si culla in questa illusione, ci si rende disponibili a farsi sopraffare da forze economiche e politiche di potenza incredibilmente più grande, rispetto ai buoni propositi delle anime belle. Tale condizionamento è così ineffabilmente ferreo, da stritolare con disinvoltura ogni resistenza. Oggi tale monito è ancor più attuale, dato il controllo incredibilmente più pervasivo che lo spionaggio informatico può produrre, a maggior ragion per il fatto di esser unito a una censura e ad una disinformazione così implacabili come quelle permesse dai mass media tradizionali, radio, tv e stampa. Questi mezzi di comunicazione di massa sono in mano al capitalismo in Occidente, come allo Stato nelle dittature comuniste e in quelle filocapitaliste, dove quindi tali manipolazioni si moltiplicano. E il film, perché ciò è nel libro, presenta benissimo tale pluralità di scenari: che Orwell magnificamente riuscì a tener assieme: sia per non escludere nulla di realmente rilevante, sia per mostrare la somiglianza tra dittature apparentemente, ma solo apparentemente, così diverse. Perciò rimane chiaro anche il monito: valori morali seri possono avere il giusto riconoscimento solo se sono portati avanti con un impegno, una tenacia, e un sottofondo di studi e conoscenze, straordinari. L’amarezza del messaggio sta anche in questo: i protagonisti si impegnano, e sono dei martiri, che compromettono ogni residua possibilità di felicità; il problema è di chi prima ha permesso che si arrivasse a una tal punto, un punto tale per cui anche i più nobili dei sacrifici sono destinati a cadere nel vuoto. Non è già successo forse così, per probabilmente migliaia di individui sotto Hitler, Mussolini, e le decine dei loro imitatori? O sotto Stalin, Mao e le decine dei loro imitatori?
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