Regia di Manetti Bros. vedi scheda film
Kammerspiel all’amatriciana in salsa torture, Paura è in ritardo sul genere e sulle modalità di rappresentazione. Il canovaccio slasher (villa isolata e ragazzotti ignari della natura sadica del proprietario borghese) e il 3D (postprodotto ma efficace) sono strutture con le quali veicolare terrore è sempre più difficile. Eppure, un prologo di sorprendente raffinatezza formale parrebbe smentire ogni premessa, evocando l’incipit del fulciano Quella villa accanto al cimitero per ambientazioni ed esiti, e il miglior Argento per messa in scena e suggestioni sonore a base di voci bianche su sintetizzatori. I Manetti ci sanno fare, quando vogliono, e riescono a creare tensione con la sola macchina da presa. Merce rara, nella Terra dei cachi. Tra false soggettive, sevizie in primo piano dosate col contagocce e deformazioni del quadro - prelevate dalla tradizione psycho thriller nostrana - la regia colma le enormi lacune di una scrittura sbilanciata tra le parti e prolissa oltre il necessario. Il substrato trash “de noantri” - tra incursioni nu metal e accenti “de borgata” spinti oltre ogni realismo sociale - segna una presa di distanza dai modelli di genere alti, più volte citati (su tutti la necrofilia di Macabro e una lezione di Antonio Tentori su Mario Bava) ma fortunatamente mai rincorsi. Imperfetto artigianato a basso costo, Paura crede ancora nei trucchi (Stivaletti) di una volta e, visivamente, ci azzecca. Ora serve che qualcuno inizi a scrivere i film ai Manetti.
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