Regia di Manetti Bros. vedi scheda film
Horror nostrano firmato dai Manetti bros., che ambientano nella Roma dei giorni nostri una storia che narra di un marchese dalla doppia vita, nella cui villa da sogno si perpetrano tecniche da aguzzino su una ragazza reclusa in cantina; tre malcapitati ne affronteranno la follia…
Se ci si ferma alle apparenze (la fotografia piatta, la recitazione dilettantistica, i dialoghi a tratti banali) questo film può apparire un prodotto mediocre; tuttavia (Dario Argento insegna) non sempre l’estetica ha la priorità in un film dell’orrore: conta moltissimo, o principalmente, la capacità di veicolare i meccanismi del terrore, la tensione delle attese, i sincronismi tra i personaggi. E i fratelli romani ne sono decisamente capaci, realizzando un film avvincente (almeno fino ai tre quarti, quando l’assurdità delle scelte dei tre ragazzi – rimanere in loco piuttosto che scappare – fa rimpiangere il più classico dei teen-horror anni ’80). I Manetti sguazzano nel sangue, godono del sadismo, si compiacciono dei loro perversi giochi orrorifici: lo splatter nostrano non è mai stato tanto esplicito e ostentato. Interessante l’uso della macchina da presa in soggettiva per mostrare, o simulare, l’agire di alcuni personaggi. Peppe Servillo dimostra di essere bravo anche davanti alla macchina da presa oltre che dietro un microfono, rendendo onore al cognome che porta.
Il film ha due registri: il primo (in stile “Saw”) dura quasi tutta la visione, mentre il secondo, dalla decapitazione in poi, richiama lontanamente i J-horror e costringe lo spettatore ad assistere ad un finale fatto di scelte inverosimili del protagonista (col reiterarsi di evitabili rischi annessi) che tuttavia legittima la miniclip presente al termine dei titoli di coda.
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