Regia di Manetti Bros. vedi scheda film
Un dubbio atroce ti attanaglia al pensiero se il cinema dei Manetti Bros sia da prendere sul serio o meno. PAURA – girato con un 3D fastidioso che non aggiunge nulla agli intenti e alle ambizioni “de paura” di partenza – è un horror diseguale, generoso e poco virtuoso. Non brilla per originalità perché questa qualità si nasconde dietro un citazionismo devoto e circostanziato agli amanti del cinema “de genere”. I due fratelli si sono divertiti a imbastire una storia verosimile ispirata a un fatto di cronaca vera (austriaca). I tre protagonisti sono Simone uno studente del Dams che durante una lezione su Mario Bava esce dall’aula per andare a chiedere alla ragazza di cui è innamorato perché lo respinga. “Sei noioso, fai venire i crampi alle mascelle dagli sbadigli…”. Marco un metallaro annoiato che suona in una sala in affitto e Ale il più intraprendente, un meccanico che dà una svolta al week-end degli amici portandoli nella villa di un marchese cliente facoltoso dell’officina in cui lavora e collezionista d’auto d’epoca partito per la Svizzera per un raduno. Nella villa bevono, fumano canne e giocano alla Wii, Simone va a curiosare in cantina e scopre che c’è qualcuno nascosto in una stanza chiusa a chiave. L’auto del marchese va in panne a metà strada costringendolo a rincasare, Marco e Ale se ne accorgono in tempo, rimettono tutto a posto ed escono dalla casa. Simone, rimasto in cantina, assiste alle “cure” del marchese ad una ragazza nuda segregata e legata a delle catene fissate al soffitto. In un momento di assenza di lui si introduce nella “prigione”: la ragazza si chiama Sabrina, pare confusa, il marchese ritorna e le rade il pube poi cattura Simone e lo tortura domandogli gentilmente perché si è introdotto in casa sua. I due amici giungono in aiuto, in un susseguirsi di inseguimenti, morti e decapitazioni si arriva finalmente all’epilogo in cui la vittima in realtà…
Il difetto di PAURA non è la generosità, la mancanza di suspense a corrente alternata (sinceramente), le scene raccapriccianti e alcune battute a effetto, ma un poverismo tecnico-visivo che penalizza l’andamento e il giudizio complessivo. Ricorda molto la miniserie televisiva LA PORTA SUL BUIO, quattro episodi (quasi tutti) girati con la mano sinistra da Dario Argento (presente con un paio di pseudonimi) e Luigi Cozzi. Il pregio di SHADOW, parente stretto di questo lungometraggio, è che non sembra italiano, al contrario di PAURA. Nel cast la maschera di Peppe Servillo funziona, i giovani attori se la cavano con un punto di merito a Domenico Diele/Ale. La musica di Pivio asseconda e sostituisce il ritmo a seconda dei momenti, il passaggio dal rap iniziale al metal pesante con chiusura sui Death SS garantiscono parzialmente il gore delle immagini e delle situazioni vissute dai personaggi. Più che il videotape dopo i titoli di coda importanti (che anticipano un personaggio fino a quel momento inedito) resta impresso lo scalpo e il manichino prima decomposto e poi ricomposto del marchese Servillo, davvero carino e da sganasciarsi. Due stellette e mezzo sofferte.
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