Regia di John Hillcoat vedi scheda film
Terzo (o forse quarto) film dell’australiano interessante, tosto e fino ad ora mai banale John Hillcoat, presentato in concorso a Cannes 2012 e in quella circostanza molto atteso grazie da un lato all’interesse per un autore che sia con il folgorante (e misconosciuto, almeno da noi) esordio con il western crepuscolare “La proposta”, sia con il non semplice adattamento cinematografico del capolavoro post-apocalittico di Corman McCarthy “The road”, aveva dato modo di suscitare attese frementi, infarcite di entusiasmo preventivo contagioso quanto realisticamente immotivato; dall’altro un cast importante che riunisce una manciata di attori ed attrici giovani tra i piu’ promettenti (Hardy, LaBeouf, Chastain, Wasikovska e soprattutto l’inquieto, inquietante,turbato e nella realta' ancora poco noto Jason Clarke) a collaudate star dal curriculum quasi sempre azzeccato (Gary Oldman, Noah Taylor, sempre serenamente inquitante, ma soprattutto Guy Pearce, attore di riferimento per Hillcoat, qui luciferino e perfido piu’ che mai nel suo look sinistro che non prevede sopracciglia).
Stati Uniti primi anni Trenta, in pieno proibizionismo: tra boschi incantevoli e rigogliosi anche nei colori pastello caldi ed autunnali di una natura che tende a diradarsi e a spegnersi lentamente, seguiamo i tentativi di ascesa di tre fratelli produttori e rivenditori clandestini di alcol, nell’eterno impari duello con i concorrenti violenti, organizzati meglio e senza scrupoli, e la polizia, corrotta e spietata e non proprio garante della legalita’. Il piu’ giovane dei tre (un Shia LaBeouf con il volto perennemente da cane bastonato…saranno tutte le botte che prende nel film), da sempre piu’ sensibile dei rozzi ma affiatati due fratelli maggiori, e’ combattuto da una naturale repulsione per la violenza e il malaffare e la responsabilita’ di contribuire a render fiorente l’attivita’ di famiglia, che egli vorrebbe portare alla prosperita’, amando peraltro ben piu’ dei suoi grossolani fratelli le belle macchine, i bei vestiti e il lusso in generale. Faide, attentati sanguinosi, tranelli e regolamenti di conti sono la merce di scambio di un commercio che vive di illegalita' e di sotterfugi, ostacolato da imposizioni ed divieti che rendono plausibili azioni criminose senza limiti e bestialita' efferate.
Il film, dalla bellissima ambientazione d’epoca piena di ricostruzioni sontuose, minuziose e certamente frutto di un budget ambizioso, risulta in fin dei conti semplicemente un corretto ma un po’ frigido ritratto d’epoca come tanti visti e dimenticati troppo presto; e se il ricorso ad episodi di violenza trucidi ed impressionanti (vedi lo sgozzamento con cacciavite ai danni di quell’armadio di Tom Hardy, qui bontà sua dotato di sette vite come i gatti) sembra architettato al solo scopo di tener desta una suspence che tende aperdersi nella perfezione un troppo laccata della minuziosa ricostruzione d’ambiente, e’ pur vero che proprio l’altisonante cast risulta fin sprecato e quasi un po’ a disagio nella costrizione in abiti d’epoca un po’ troppo da vetrina statica e dimostrativa da atelier d’altri tempi e un po' troppo in stile cartolina vintage.
Insomma un film appariscente, glamour e perfetto per il tappeto rosso cannese, ma un po’statico e fine a se stesso; "colpa" anche della perfezione incomparabile di certi capolavori di decenni passati che non riescono a farsi dimenticare ne’ a farsi sostituire da belle copie un po’ artefatte e un po' bidimensionali. Questo per dire che il film non possiede certo la potenza di grandi capisaldi del cinema gagsteristico come C’era una volta in America di Leone, o i compari di Altman o ancora Gangster Story di Artur Penn (per citarne due o tre strepitosi che mi passano nella mente in questo momento).
Ma a volte capita al cinema: le attese frementi nei confronti di autori che ci sono piaciuti cosi’ tanto nel loro precedente lavoro, finiscono per diventare le piu’ cocenti delusioni, quelle piu’ difficili da tollerare, rischiando cosi’ nel nostro intimo di penalizzarli piu’ di quanto meritino effettivamente.
Un film come questo, che presenta certamente diversi elementi di spicco e qualche buona freccia per centrare almeno i bersagli dell’appariscenza e dell’esteriorita’, difetta a mio giudizio di un’anima genuina e di quella naturale spontaneita’ che non puo’ essere ricercata unicamente, come succede qui, con un sapiente dosaggio strategico di pur ben congegnate scene di violenza ed azione che catturano piu’ per tensione che per slancio emozionale.
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