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Oceano

Regia di Folco Quilici vedi scheda film

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La recensione su Oceano

di Antisistema
8 stelle

Azzardato tentativo - riuscito -, di resuscitare la concezione di cinema propugnata da Robert J. Flaherty, attraverso l'innesto di situazionie vicende costruite, all'interno di una struttura documentaristica, per amplificare le tematiche sottese. Lo spunto di partenza, deriva da un'antica leggenda polinesiana, in grado di mettere in scena la tematica preferita da Folco Quilici; l'uomo ed il mare. 
"Oceano" (1971), vincitore del David di Donatello 1972, rappresenta la summa artistica del cinema quiliciano, di cui possiamo goderne la visione grazie alla CG Entertainement, che dopo oltre 50 anni dalla sua uscita, rende disponibile in DVD un'opera altrimenti irreperibile - come lo sono tutt'ora le altre del regista -. 
I titoli di testa, manifestano la fonte d'origine della vicenda narrata, radicandola tra i miti dell'isola di Tuamotu (Polinesia francese) situata nell'Oceano Pacifico. Lo spirito più "cinematografico" della storia del giovane navigatore Tanai (W.N. Reno), ha un respiro assai occidentale, rifacendosi al poema epico di viaggio per eccellenza; "L'Odissea".

Il debito nei confronti del capolavoro di Omero, risulta subito chiaro dalla scelta di cominciare la narrazione "in media res"; ovvero partendo dal naufragio della canoa di Tanai sulla banchisa artica, da cui viene tratto in salvo da alcuni scienziati di una base statunitense dell'Alaska. Da qui si assisterà attraverso un flashback, alle motivazioni del viaggio del polinesiano e le varie tappe toccate, attraverso un coro di varie voci narranti., Quella onnisciente, nel proprio disincanto oggettivo, fino a quelle in terza persona dei vari individui, in cui Tanai si imbatte, in un ritratto etnografico di popoli, lingue e credenze. 
La macchina a mano di Quilici, regala squarci naturalistici, mettendo in parallelo la piccolezza dell'essere umano, in relazione all'infinita vastità dell'oceano. Le vicende vengono vivisezionate fino all'osso. Si elimina il superfluo, come fa Tanai con le prede catturate, che lascia essiccare al Sole, in modo da potersene nutrire in un secondo momento. Resta l'essenziale. Una canoa
in balia delle onde, a galla in una distesa salata a perdita d'occhio. 


Come nel "Nanuk l'Equimese" di Flaherty (1922), Tanai darà a fondo a tutta la conoscenza trasmessa di generazione in generazione, per riuscire nella "trasmigrazione". Un rito antico, che consiste, nel lasciare i piccoli atolli sassosi, per procurarsi della terra da potervi trapiantare e permettere così la nascita della vita, attraverso l'impiantamento dei semi. Tanai porta con sé l'albero del pane. Arbusto che denota un forte attaccamento "fisico" del giovane, nei confronti dell'esistenza. 

Quilici mostra tutto ciò che l'acqua dell'Oceano tocca, variando toni, finalità e fascino a seconda degli atolli e le isole toccate lungo la navigazione. Rapu Nui (meglio conosciuta come l'isola di Pasqua) con i suoi enigmatici Moai, sino ai lembi di terra più remoti, dove gli indigeni del luogo, rivestono di divino ogni fatto. La cultura polinesiana risulta assai lontana dalla rigida gerarchia cristiana, di un unico Dio creatore del cielo e della terra, a favore di un mondo "pieno di divinità", presenti in ogni elemento naturale. Il vento significa una navigazione spedita, ma l'assenza assume connotati di stasi, quindi possibile morte. I pesci non salgono, i predatori più feroci vedono nella canoa ferma un facile bersaglio, facilmente ribaltabile in mare. Un lungo viaggio tra le mille insidie che un oceano può riservare. Quilici dati i suoi trascorsi di operatore amatoriale sottomarino, cala frequentemente lo sguardo, al di sotto della superficie acquatica, svelandone il macrocosmo faunistico, ampio e variegato come il mondo emerso. Cibo ed acqua sono l'energia necessaria, che mette in moto la vita di Tanai, alle prese con le lunghe distanze aquatiche.

Ogni isola racchiude in sé un microcosmo culturale, talvolta ostili e spiacevoli, ma spesso largamente inclusivi. Le barriere linguistiche crollano poco a poco, innanzi alle affinità di un'umanità di spirito, assai lontana da ogni sovrastruttura civilizzata odierna. Quello stessa civiltà, che spazza via millenni di tradizioni, in nome di un progresso evoluzionistico, assai sinistramente vicino ad un regresso (auto)distruttivo.    

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