Regia di Andrés Baiz vedi scheda film
Adrián dirige la Filarmonica di Bogotà, Belén disegna scarpe. Se l’arte li ha uniti l’arte li scioglie: lei si accorge che lui ha occhi per la violinista e lo molla con un videomessaggio. Il letto è ancora tiepido quando ci si infila Fabiana, la bella barista con gli occhi tristi e pregni di Martina García, che vorrebbe tratteggiare un personaggio femminile conturbante e scisso, ma la sceneggiatura le lascia poco margine di movimento tra una doccia e l’altra. Sì, perché la casa mostra qualche problema all’impianto idraulico: sibili provenienti dallo scarico del lavandino e increspature fisicamente inspiegabili nell’acqua della vasca. Belén è uno spirito vendicativo intrappolato nelle tubature o un’osservatrice reale ma “invisibile”? Neanche un’oretta perché la verità (mal)nascosta ci venga rivelata: nessuno starebbe a guardare questa posticcia, pretenziosa messa in scena delle estreme conseguenze dell’amore, senza la speranza che uno scheletro - concreto o metaforico - sbuchi dall’armadio. Il colombiano Baiz, dopo l’apprezzato esordio Satanás (2007), frulla il thriller con la psicologia puntando al grottesco tragico della condizione umana. Ma se l’amore non fosse un luogo impossibile, di certo sarebbe lontano da questa farsa claustrofobica solo nella location. Qualunque cosa alberghi nella casa di campagna non è lo spettro della gelosia né il dramma dell’abbandono: solo lati di un triangolo costruito su tanti specchi e nessun riflesso sensibile.
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