Regia di Peter Ramsey, William Joyce vedi scheda film
Fenomenologia della fantasia infantile, ovvero quando i sogni sono sogni, le realtà sono realtà e da entrambi i fronti si vuole restare tali; ovvero quando un cartone animato, inoffensivo e incompreso su più fronti, si fa riflessione profonda e puramente visiva di un discorso importante e non liquidabile in quattro e quattr'otto con il lessico della carineria, perché è tutto quanto splendidamente coerente con il genere stesso dell'animazione. Le 5 leggende del titolo (Babbo Natale, Calmoniglio, Dentolina, Sandman e Jack Frost) possono vivere e sopravvivere soltanto in funzione dell'atto di fede che i bambini elaborano nei loro confronti dall'altissima bassezza della loro ingenua condizione: non appena i bambini smettono di credere in una di queste leggende, quest'ultima comincia a scomparire, invisibile a tutti, come costretta nella più bieca solitudine. D'altronde è come se tutti e cinque non fossero fatti di altro se non "della stessa materia di cui sono fatti i sogni". E' infatti questo il caso iniziale di Jack Frost, che inizia la sua storia dal buio dell'inconsapevolezza e viene alla luce come straordinario omiciattolo in grado di gelare e di soffiare come il vento, ma sconosciuto a tutti (così come agli eventuali bambini-spettatori), e dunque invisibile e inconcepibile. Diversa è la storia per le altre quattro leggende, responsabili rispettivamente dei regali di Natale (per i bambini buoni o cattivi, com'è scritto a caratteri cubitali sugli avambracci grassocci di un Babbo Natale russo [siberiano] simil-motociclista), delle uova di Pasqua, della monetina per i dentini caduti e dei cosiddetti Sogni d'Oro, tutti quanti talmente impegnati a rendere felici e pieni di speranze i bambini del mondo da dimenticarsi, il più delle volte, dei bambini stessi, come dice imbarazzato, a un certo punto, lo stesso Babbo Natale. In questa loro esistenza poco concreta, in cui essi vivono fra la forza della fantasia infantile e il potere dello scetticismo maturo e della paura degli incubi, veniamo inabissati anche noi, come se fossimo finiti direttamente nella mente di un bambino. Ed è proprio lì che stanno loro, perché a dirla tutta sono proprio i bambini a decidere della loro esistenza, e non c'è nessuna forza immortale (neanche la mitica Luna) che può costringerli. Al contrario, anche i bambini sono i "guardiani" delle speranze dell'umanità, altresì dette "piccole lucine diffuse sui vari continenti del pianeta Terra", come per ricordarci che è proprio la fantasia della mente (del bambino come dell'adulto, a dir la verità) "l'ultima cosa che ci resta". Le tecniche d'animazione, sperimentali e non così fastidiose, celebrano la giostra svettante e divertente del sogno, ed è come se questo sogno fosse la sintesi apicale di tutti i sogni del cinema d'animazione, tutti racchiusi nel prodotto delle piccole grandi menti dei bambini di tutto il mondo. Ramsey e Joyce non sembrano limitarsi a distribuire in successione una situazione divertente e adrenalinica dopo un'altra con lo scopo ultimo ed essenziale di intrattenere, ma creano un complesso gioco di specchi (molto implicito e evidente solo a chi ha la "fede" e la voglia di vederlo) che riflette in se stesso e su se stesso, sulla fantasia delle immagini e sul rapporto stretto fra fede ed esistenza, finendo per raccontare in termini universali la necessità dell'immaginazione. Se vogliamo non è nulla che non sia già stato trattato da moltissimi film d'animazione, ma la realtà è che mai tutto è stato disposto in maniera così evidente e quasi "meta-fantastica", se si può creare questo nuovo termine, ovvero un qualcosa di irreale e di magico che parla di se stesso e della natura stessa dell'irrealtà e della magia. Per questo il film tratta dei sogni dei bambini come se fosse "dentro" un sogno per bambini, e discute dell'alternanza fra Bene e Male non nella violenza o nella felicità di tutti i giorni ma nella dimensione ideale del sogno: non solo perché solo lì quella divisione è possibile, ma perché la mente umana nasce direttamente per creare una personale divisione fra Bene e Male, e la gioia di fili dorati che facciano fare bei sogni contro cascate di oscurità che inondino le camere da letto di paura costituiscono le vere lotte che regolano e mobilitano l'umanità, come se a decidere tutto fossero, ancor prima che i genitori e gli adulti (scomparsi) del mondo, le nostre fantasie e ciò che sta dentro la nostra testa, fin tanto che vogliamo davvero utilizzarla non solo per creare concetti ma per creare realtà vere e praticamente tangibili, anche se inconsistenti e oniriche. D'altronde "smettiamo di credere nella Luna quando diventa giorno"?. Sappiamo che sta semplicemente dall'altro lato, e che tornerà per manifestarsi. E' un po' come il bambino protagonista che chiede al coniglio di dare testimonianza della sua esistenza in quanto Coniglio di Pasqua: una ricerca sempre attiva e sempre in movimento di un motivo reale per esistere, e che non deve stare necessariamente nella concretezza di una banconota o di una leggenda materiale. Il fatto che le 5 leggende si siano scordate, nelle loro attività, dei bambini stessi, e si occupino generalmente della "felicità dei bambini", lascia intendere l'andamento generale dell'intero film: mentre ai bambini parlerà la gioia delle immagini, agli adulti (a quelli che sapranno identificarsi) parlerà il gioco sottile di rimandi e la struttura stessa di meta-sogno (e quindi di meta-cinema) che Le 5 leggende è in grado di creare anche e soprattutto attraverso le immagini, senza che i frequenti momenti stucchevoli infastidiscano più di tanto e che l'ironia altalenante diventi motivo di altrettanto altalenante attenzione. Un piccolo gioiello sottovalutato, che merita una riscoperta e una rilettura a mente impegnata, un film d'animazione da vivere senza l'approccio qualunquista a cui ci hanno abituato altri cartoni DreamWorks ma con un approccio profondo e riflessivo come ci hanno abituato certi splendidi cartoni PIXAR. Senza però raggiungere la leggiadria e lo splendore di questi ultimi.
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