Regia di Mike McCoy, Scott Waugh vedi scheda film
C’è un nucleo estetico da salvare, nel racconto della missione internazionale antiterrorismo di un gruppo di Navy Seals statunitensi. Le incursioni del commando sono restituite con rara precisione filologica e innervate di un realismo che ricorda Black Hawk Down e riflette la vocazione filmica dei documentaristi bellici McCoy e Waugh. Estetica di ripresa leggera, montaggio agile e serrato, lampi di cruda violenza, visuali in soggettiva dal fucile dei Seals e un cast composto soprattutto da ex militari rendono il racconto action per immagini un esempio alto di grafica da war movie postmoderno. Peccato che il nucleo estetico sia chiuso in una confezione drammaturgica intrisa della più deteriore retorica machista. Lo sceneggiatore Kurt Johnstad (quello di 300, tanto per aver chiari i riferimenti ideologici) taglia i resoconti di guerra con un ridicolo campionario di espedienti patriottici, dalle lacrime delle mogli a un soldato che, coprendo una bomba con il corpo, si immola per salvare i commilitoni. Seguono funerali in pompa magna e bandiere Usa. Il tutto filmato in ralenti, così che le lacrime possano cadere lente sotto le enfatiche sonorità ad archi e sospiri. Tra simbologie cristologiche elementari (buchi nelle mani di una donna torturata, il terrorista di nome Christo) e un militarismo manicheo che ricorda Hamburger Hill. Collina 937 di John Irvin, Act of Valor vanifica gran parte del suo potenziale stilistico. «È un Roger». E un vero peccato.
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