Regia di Drew Goddard vedi scheda film
Cabin in the wood, il titolo originale. Ulteriore tassello dell’immaginario di tutte le case nel bosco passate, da La casa di Sam Raimi alla Cabin Fever di Eli Roth-, grondanti sangue e vomitanti di mostri.
L’horror moderno non mira a fare paura e questo film non fa eccezione, a parte qualche digressione nel fantasmatico degli autori spagnoli, la nuova tendenza che inaugurò Wes Craven con la saga di Scream, è quella dell’ultracitazionismo. Ovvero, la riscrittura di un immaginario consolidato rendendo sullo schermo gli effetti ma spostando l’ottica sulle cause e sui meccanismi che li regolano in modo da ricavarne un qualcosa di esclusivo e estremamente gradito agli affezionati cultori del genere.
Un horror autoreferenziale e al contempo autoironico che si smembra nelle sue caratteristiche peculiari ed espone i trucchi a vantaggio dello spettatore che ne sa più dei personaggi e si bea della propria cultura nell’osservare la finzione stritolare le figurine sullo schermo. Humor nero e sangue, svincolati da qualsivoglia pathos diventano il corollario per un divertimento liberatorio.
La mente dietro questo progetto è Joss Whedon, già autore cult della serialità horror di Buffy l’ammazzavampiri, il film Serenity piccolo must per gli adoratori della fantascienza e regista del supercampione di incassi The Avengers .
Qui produce un’idea diretta da Drew Goddard , geniale riscrittura di tutto il cinema delle case infestate mutuandole con la tecnologia che fa parte del bagaglio culturale del produttore e l’elaborazione della tendenza voyeuristica del reality show. Produce la Lionsgate che pare aver abbracciato con entusiasmo l’ottica disfacente e metanarrativa del reality per agganciare l’immaginario orrorifico alla tendenza sociale che più tutte ha modificato la decodificazione della realtà. Non a caso produce anche Hunger Games, con tutti i difetti e le banalità del caso.
Quella casa nel bosco è ben altro rispetto ad Hunger Games. Qui il gioco si fa duro, si fa divertente, crudele e dissacrante. Gioco scoperto, fin da subito. Un gruppo di ragazzi, bellocci, più un nerd cannabis-dipendente si recano in una baita sperduta in un bosco per passare un weekend in libertà. Vengono assaliti da zombi e sterminati. Bene. Ma non finisce qui, anzi. Dalla casetta bucolica il film sprofonda nella terra che nasconde un segreto ipertecnologico scindendo di fatto la trama in due oggetti quasi distinti. Un po’ come Martyrs di Pascal Laugier
Tutto il luogo è si, infestato ma di telecamere dirette da un centro di controllo che riprende il tutto per il ludibrio di personaggi misteriosi. La scelte dei ragazzi vengono pilotate da un’entità superiore così da fornire il più truce e canonico dei massacri proprio nelle modalità tipiche del genere. Un gioco di specchi magici – come quelli presenti nella casa – che esplodono il punto di vista in più direzioni e di cui lo schermo cinematografico fa parte come finestra su un mondo che sposa l’ottica del demiurgo. O del voyeur.
Sotto lo sguardo vigile di due “registi-guardiani-carnefici” interpretati da Bradley Whitford e Richard Jenkins, ogni aspetto della vicenda trova una spiegazione razionale all’irrazionale. Le regole del film horror vengono continuamente confermate e poi disattese, ricombinate. Se la bionda popputa è un po’ troia, c’è una ragione. Se il fidanzato della bionda popputa, nonostante sia un brillante studente, si comporta da scimmione cerebroleso, la motivazione è subito esposta.
Così come ignorare il consiglio di non andare nel luogo da parte del redneck di turno; addentrarsi cocciutamente in scantinati bui. Ogni cliché tipico del meccanismo del film dell’orrore viene stravolto e svelato nella condizione per cui i protagonisti sono costretti a fare ciò che fanno per un disegno più alto che scardina ogni certezza visiva e narrativa.
Fino alla sorpresa finale – delirante ma molto divertente - nel quale il tasso ematico si eleva a potenza e le frattaglie fioriscono in un tripudio orgiastico che accoglie giocondo ogni mostro della tradizione horror più o meno recente.
Cabin in the wood trasporta lo spettatore attraverso lo specchio nel paese delle meraviglie in compagnia di un’Alice – lo sguardo – ormai abbandonatosi all’ingenuità della corruzione con partecipato piacere. Quello che si vede sullo schermo non è solo un film dell’orrore ma la realtà di un mondo che nasconde orrori, anch’essi imprigionati da un demiurgo folle e inconcepibile per essere esposti a comando nel grande spettacolo – il reality - della morte. Dopo tutto i mostri fanno ciò che devono, uccidono. Le vittime fanno quello per cui sono destinate, muoiono. Male.
Non è necessario - e non sarebbe giusto – dire di più. Il film è sorprendente e ricco di invenzioni, dal ritmo elevato e mai banale. Un must per ogni amante del genere che oltre la storia in sé si divertirà un sacco a dare un nome ad ogni personaggio e un titolo ad ogni situazione esibita con consapevole, disincantato amore cinefilo. Cameo per una segaligna Sigurney Weawer e ruolo da co-protagonista per il futuro Thor di The Avengers, Chris Hemsworth.
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