Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Colpito da fuoco amico, James Bond muore. Poi risorge. Intanto qualcuno fa esplodere la sede dell’Mi6 a Londra proprio mentre M è alle prese con un nuovo burocrate zelante, interpretato da Ralph Fiennes. Tutti gli agenti sotto copertura di Sua Maestà stanno rischiando l’osso del collo, quindi 007 torna in azione giusto per scoprire che a tessere le fila del diabolico complotto è un figlio della stessa “madre”. Il Revolutionary Bond di Sam Mendes, scritto da Neal Purvis e Robert Wade insieme a John Logan (L’ultimo samurai, Rango) parte come di solito i film di 007, con quel minimo di suspense sulle sorti della spia e l’impatto massiccio e action dell’intrigo. Poi qualcosa cambia, il ritmo rallenta, la narrazione aumenta, le parti in campo si scombussolano fino a scoprire un cattivo, interpretato da Javier Bardem, più insidioso del solito; il quale, per dire, quando mette le mani addosso a Bond non è esattamente per picchiarlo. 007 intanto si rivela vulnerabile come mai. Non è la prima volta che lo sottopongono a processi di “rehab”, ma qui è succube di uno spleen ancestrale: mezzo alcolizzato, impasticcato, senza più la mira infallibile di un tempo. In compenso arriva un nuovo Q (Ben Wishaw, strepitoso) che in un dialogo surreale mette sul piatto la parola chiave di questi tempi vili: rottamazione. E allora si ricomincia, per non morire. La vecchia Aston Martin di Goldfinger, la Walther Ppk personalizzata, una semplice radiolina e nessun altra diavoleria tecnologica, perché «non è proprio Natale». Resa dei conti in una fortezza della solitudine nelle Highlands, con echi del Bond conneryano e del fumetto SilverFin di Charlie Higson. A Skyfall ci sarebbero voluti una dozzina di minuti in meno per essere un capolavoro. Anche così, comunque, complimenti al coraggio di Sam Mendes per avere ridefinito il personaggio. Vero che si sente l’influenza dell’immaginario di Christopher Nolan e dei suoi “cavalieri oscuri”, ma con un ingrediente in più a rendere la ricetta migliore: l’ironia. E adesso, per noi bondiani: nei fantastici titoli di testa di Daniel Kleinman, con canzone di Adele, i riferimenti al film si mescolano e a volte coincidono con quelli al resto della serie. Solo per i nostri occhi.
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