Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Con Skyfall si conclude la trilogia di complessivo reboot di James Bond nell’incarnazione di Daniel Craig. Il passaggio da un film all’altro segna un progressivo avvicinamento alla definizione del personaggio in accordo agli stilemi noti, codificati in un cinquantennio cinematografico di altalenante qualità ma di indubbia coerenza.
I primi due capitoli erano riuniti da una serializzazione spinta che vedeva Quantum of Solace partire esattamente dove si era interrotto Casino Royale e prendevano avvio da una versione grezza della spia che inseriva alcune forti novità; oltre alla “fisicizzazione” del ruolo, permesso dall’asciutto Craig, sospinto dall’esempio cinematografico di Bourne, filone spionisitico che si è affiancato e poi sovrapposto alla tradizione bondiana permettendone un’attualizzazione, c’è stata una progressiva erotizzazione del personaggio (palese anche nella trasformazione dei titoli di testa, con la figura dell’agente al posto delle bond girl abituali), che giunge a compimento in Skyfall, con la dichiarata attrazione dell’antitesi verso un Bond che ironizza sull’eventualità della propria disponibilità.
La contiguità cronologica degli eventi narrati dei due primi film sviluppa e conclude la vicenda privata dell’innamoramento tradito di Bond e della conseguente vendetta per la perdita di Vesper, di fatto rendendo esplicito l’atteggiamento anaffettivo del seduttore indifferente e l’impossibilità di un vero futuro legame amoroso, argomento sviluppato nella serie classica dall’improbabile ipotesi matrimoniale di Al servizio segreto di Sua Maestà. In Skyfall Bond risulta addirittura morto (cfr. Si vive solo due volte), ha difficoltà a riprendere servizio, sembra appesantito dagli anni (come in Mai dire mai) e, soprattutto, dall’esperienza vissuta dalle sue precedenti incarnazioni che sembrano agitarglisi intorno come fantasmi di un passato improprio in attesa della compiutezza della nuova metamorfosi. L’Aston Martin modificata è quella delle origini, lo smoking gli calza a pennello, ogni passo (e inseguimento) è accompagnato da una diversa e spudorata eleganza degli abiti (firmati Tom Ford, nuovo paradigma maschile), mentre al bar del casinò di Macao gli viene finalmente preparato un vodka martini, benché shakerato.
Il processo di avvicinamento al canone noto avanza per slittamenti progressivi e giunge a compimento con un film retrogrado, dedicato ad un antefatto che ricostruisce rapporti e passato di un personaggio vissuto sempre al presente, con la tradizione degli altri film assunta ad antefatto parziale. Dietro il pretesto di un attentato all’MI6, che è solo una vendetta personale contro M, e di una trama che non vede che le promesse di una minaccia universale (mercenari virali al soldo del miglior offerente e la pubblicazione della preziosa lista degli agenti britannici sotto copertura), il film si concentra su Boind e, successivamente, su un suo alter-ego (Javier Bardem). Entrambi spie molto amate dalla M di Judy Dench, nelle vesti di Madre protettiva e intransigente sin dai tempi di Goldeneye (Brosnan), i due personaggi maschili si trovano ad averne affrontato il tradimento nel pragmatismo dell’intelligence per la politica del minor danno (già affrontato da Bond nell’anomalo avvio di Die another Day e sottotrama portante di Goldeneye con l’ex-006 ribelle) che si è trasformato in rifiuto rabbioso per l’Edipo redivivo Raoul Silva e in desolato isolamento per Bond. Figure perfettamente speculari e antitetiche, Craig e Bardem affrontano diversamente il medesimo trauma e la sensazione di abbandono con moltiplicata avversione o immutato affetto per M, la madre renitente, vero centro emozionale e drammatico del film.
La ferita del passato della famiglia acquisita (MI6) si associa con coerenza al prolungato epilogo, ambientato nella dimora avita dei Bond, la tenuta di Skyfall isolata in una Scozia ancestrale che omaggia Connery. Vicino all’abitazione, odiata dall’agente, sono seppelliti i suoi genitori e vi troverà la morte l’unica altra donna degna del suo affetto. Nella totale, spettacolare e simbolica distruzione dell’edificio, il confronto tra gli antagonisti si risolverà con un semplice e sprezzante lancio di pugnale nella schiena, senza nemmeno il classico corpo a corpo definitivo, mentre il capitolo si conclude e la serie si apre.
La nuova versione di Bond introduce un elemento di crescente importanza rispetto alla serie canonica. Benché pensata (da Fleming stesso) per essere avviata da Hitchcock, la versione cinematografica di 007 è sempre stata affidata a registi minori se non addirittura scialbi, mentre il nuovo corso richiama in servizio l’ottimo tecnico Martin Campbell (già all’origine della promettente revisione di Brosnan con Goldeneye) per poi affidarsi a Marc Foster, attento agli sfondi etnici e alla continuità di montaggio dell’azione, e infine arrivare a Sam Mendes. Regista teatrale e vincitore di un Oscar per American Beauty, Mendes è molto attento alla impaginazione scenografica e fotografica dei suoi drammi psicologici, alla resa grafica del tormento interiore che si riverbera in Skyfall nel costante rifiuto della simmetria, nell’uso di set anomali e mai anodini con cui il regista riesce ad impreziosire la forma visiva del film, a scapito, forse, della sua resa dinamica.
“Metabond” che metabolizza consapevolmente gli elementi antecedenti e li ripropone rinnovati accennandovi spesso con dovizia d’ironia (uno scotch invecchiato 50 anni per 50 anni di Bond sullo schermo), Skyfall conclude il panorama delle citazioni necessarie con l’introduzione delle figure ancillari ad ogni avventura di 007, che, sino ad ora, aveva agito ai margini dell’MI6 intento in vendette e percorsi personali. Con il nuovo (e maschile) M, il giovanissimo Q, nerd informatico, e la segretaria perpetua Moneypenny, che acquista fascino e perde repressione sensuale dopo un passaggio da agente operativo, si completa il lungo passaggio di consegne al nuovo interprete con il sacrificio dell’unico elemento di continuità, affettiva ed effettiva, con l’era di Brosnan sì da permettere il salto verso il totale rinnovamento della tradizione.
Affrontato il passato recente e remoto, i traumi dell’amore e dell’affetto, la rabbia dell’operativo con licenza di uccidere si può incanalare nelle strutture gerarchiche dell’MI6 e la spia è pronta a entrare in azione al servizio della Regina (come nel filmato inaugurale delle Olimpiadi), mentre risuona il motivo di sempre e Daniel Craig si affaccia dallo stilizzato tamburo della pistola per essere, appieno, James Bond, l’agente 007.
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