Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Le cose in grande per i 50 anni di James Bond. Skyfall rappresenta un nuovo inizio che pesca dalle avventure passate per garantirsi un futuro. A cominciare dai titoli di testa, attraversati dal refrain bondiano della canzone Skyfall interpretata dalla voce di Adele, che riassumono in sintesi ciò che fu il trascorso dell’Agente Segreto al servizio di sua maestà.
Ciò che connota il nuovo corso dell’agente Bond interpretato da Daniel Craig, rispetto al passato, è l’estetica realista che risente del riverbero dalla realtà storica per tessere la rete che sorregge tutto l’impianto narrativo. Siamo in crisi, una crisi mondiale che taglia certezze costi abitudini. In tempo di crisi tutti diventano più vulnerabili e così è anche per il MI6 gestito da M, una marmorea Judi Dench. La tecnologia ha assorbito molte delle competenze umane e reso etereo ogni concetto concreto. Un nuovo che avanza e si espande in maniera quasi autonoma. E si invecchia, si diventa obsoleti e meno pronti a sostenere i cambiamenti.
Il James Bond di Sam Mendes, regista Oscar per American Beauty, subisce questi fattori di cambiamento cercando di rimanere fedele a se stesso, divenendo così più umano e fallace. Più Bond che 007, quindi, il passato personale dell’agente segreto fa capolino come mai era stato esplicato nelle avventure precedenti infrangendo di fatto un tabù che resiste da mezzo secolo.
Il tema principale è la dicotomia vecchio/nuovo che si scontrano nel mondo che progredisce. E il nuovo non è tutta questa bellezza. Finiti i gadget che fecero grande la sezione Q , ora l’approvvigionamento consiste in una pistola e una radio-trasmettitore. La sezione Q è diretta da un ragazzino. La stessa M viene messa in discussione da un passato che ritorna e che rappresenta la minaccia contro la quale Bond deve intervenire. Non c’è da salvare il mondo in questo caso, forse perché il mondo non lo vuole più nessuno così com’è. La solidità del concetto di “mondo” , quello che faceva impazzire gli scienziati e i dittatori che volevano conquistarlo e/o distruggerlo, ora si è sciolta in un magma che non ha forma, dove tutto è il contrario di tutto, dove le ombre nascono da soggetti immateriali. Il male è dentro, fuso con il suo diretto controllore e antagonista, deriva di una perdita di etica e ideali, molto in voga in questo triste tempo di crisi.
Tutto viene messo in discussione, ad uno ad uno vengono distrutti i simboli di quello che è stato James Bond, violandone l’alone iconico di eroe senza macchia, paura, passato. Il tutto poi viene ricomposto a nuova forma, pronto per i successivi episodi. Un nuovo M, compare Moneypenny , il ridicolo dell’auto con le mitragliatrici nei fari risulterà decisiva rinnovando la romanticheria vintage degli strumenti segreti per agenti segreti.
Veramente ottimo il villain di turno, Javier Bardem, ironico ma non istrione, mostro gentile, teatrale, vendicativo. Un grande personaggio , moderno e proteiforme, organizzato e spietato, nemesi perfetta della tradizione, della fedeltà ad un ideale e ad al senso di giustizia che anima le azioni di Bond.
Messa in scena sontuosa, a momenti action di ottimo livello si contrappongono rallentamenti e introspezione psicologica, tensione e pathos. Bond girl usa e getta, femmina fatale soprattutto per se stessa, mentre l’ironia dilata lo spread del confronto con la brutalità. C’è tutto Bond in questo film diviso idealmente due blocchi distinti. Il primo tempo hi tech, metallico e lucente, il secondo è un viaggio / scontro nel passato dell’agente segreto, una resa dei conti nella magione di famiglia, cupa e piena di segreti come Bond stesso. E come Bond, solida.
Film che sfrutta le citazioni – clamorosa quella de Il silenzio degli innocenti - per agganciarsi ad una cultura cinefila in grado di mettere alla prova gli amanti del genere. Un grande film non esente da difetti, anche se veniali. Se si è un fan della serie si prova del gusto in più, ma alcune dissonanze – licenze poetiche - in sede di sceneggiatura utili per far avanzare la storia, risultano ad un occhio attento leggerezze che diluiscono un po’ la tenuta del racconto. Bisogna crederci tanto, chiudere un occhio critico, abbandonare l’idea della gravità, dei limiti fisici, delle spacconate, degli slogan. Tutto ciò che è informatico è molto semplificato e ingenuo ad uso e consumo sicuramente degli spettatori, meno dei personaggi del film. Ma I film dell’agente 007 sono così, sono l’inverosimile del verosimile, iperbolici con garbo, meravigliosamente prevedibili. Così, se un ristorante di Macau ha al suo interno un recinto che ospita due varani di Komodo, è logico che qualcuno ci finirà dentro e che uno di questi sarà proprio Bond. Se non fosse così, che delusione sarebbe.
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