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007 Skyfall

Regia di Sam Mendes vedi scheda film

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La recensione su 007 Skyfall

di lorenzodg
10 stelle

1962-2012. Cinquant’anni e ventitreesimo film dell’agente per eccellenza: l’immaginario rivive e si ridesta in quest’ultima pellicola diretta dall’inglese Sam Mendes (al suo sesto lungometraggio).
   Senza nulla togliere a nessuno di essi e ad altri di vario genere, “007. Skyfall” si gode come non mai e ne sublima l’arte come pochi riescono in una tipologia di frullato incandescente e virtuosismo da ricordare per lustri e lustri! Un film avvolgente oltremisura: difficile riempire qualche frase per descrivere il gusto assoluto nell’ammirare una simile operazione cinematografica uguale a se stessa ma diversa. Una regia impeccabile rinvigorisce il mito ‘bondiano’ come da sempre in un entourage sublimato da rimandi, idiomi e favilli di tutta la sua storia. Perdurato ad ogni crisi (sostenuta) e arrivato al mito (rinato), la pellicola prodotta da Barbara Broccoli (che della casa paterna ha preso le redini) rimescola tutte (o quasi) le carte del personaggio creato da Ian Fleming e tra scorribande, paure e ricordi, l’agente con licenza di uccidere smette per un attimo di vivere, s’allena a non fare centro e s’imbatte nel buio di un bambino orfano tra le brughiere annebbiate e il segreto pa(e)ssaggio da riaprire.
  Dopo un’apertura sfavillante e spettacolare con un susseguirsi di cambi di ripresa, di campi, di mezzi trasporto e ambienti, il film pare girarsi indietro e fronteggiare il nuovo arrivo della cadenza narrativa a go-go: perché non darsi delle arie (giammai scomparse) e rintuzzare ogni sorta di stress (semmai di impasse). Il nuovo 007 parte da lontano (nel senso dell’immaginario) e arriva ad un passo da noi per lasciarci di stucco con la musica di testa che diventa un finale sornione, ironico e disincantato . “Con piacere” dice Bond a Mallory: anche a noi aspettare ancora poco per un prossimo adrenal(i)colico ‘tour de force’ tra località amene e incontri insignificanti. Con classe imbevuta e glamour innato (non certo datato) lo 007 si compiace della nostra (gradita) presenza.

   Da qui dopo arrampicamenti inverosimili ecco i titoli di testa, suggestivi, adombrati, cartoonizzati, succosi e noir con la ‘skyfall’ di Adele L.B.Adkins che confenziona (già) il pacco regalo di un film stracolmo di rifermenti e stratificato orizzontalmente e in verticale; nel voler(ci) riferire ciò che il tempo ha dato e quello che il tempo (futuro) ci può togliere. Un resoconto finale epigoni di tanti eroi e summa (minimo) di personaggi interiorizzati da ricercare e (forse) da scoprire. Un Bond visto, vispo, incredulo, remissivo, ansiogeno ma, soprattutto, orgiasticamente illeso dal suo passato e ritrovato in una fucina di archetipi-luoghi-comuni che deragliano in uno sconquasso senza limiti come il treno di inizio dove la lotta è in movimento e il buio di una galleria chiude lo schermo dentro un tuffo (senza pallottola) di acque in cascata (quella dei diamanti che furono) dopo una lunga corsa in moto tra tetti (che scottano).
   Complici e non complici, amici e nemici, il fido agente di M è nel destino di molti. ‘Dov’era…’, “A parlare con la morte’ sembra dire James di ritorno per ricominciare: in un’inquadratura semibuia in lungo il volto dell’agente riaffiora tra le tenebre di un destino ancora da cercare (circolo vizioso di un mondo semprevivo pur che sia morto il fato di un bambino fuggito) dentro un cielo imbrunito (prima che splendente) lasci che cada ogni tua sensazione e gusto (dello spettacolo).

   Una pellicola assolutamente goduriosa che lascia trasparire e passare ogni messaggio di meraviglia e ciascun immaginario ritrovato in una filmografia ‘bondiana’ alternante b(certamente) ma visibilmente conquista anche il pubblico più appassito e semintrufolato nel buio di una sala (in buon numero sveglia e pimpante) mentre s’allarga il disegno di un eroe che si fa beffa di tutti nel ricordo acerbo e sorridente di un compleanno da festeggiare. Il post-eroe moderno e il pre-immaginario irreale confliggono e s’imbattono nello stesso mondo di un’epopea britannica e di una regina che s’intravede lontano lasciando il primo ministro in balia e in forza, in ostaggio e in sventolio di un uomo fuori da ogni costume e speranza di mettere sempre le cose a posto. James Bond come cardine di un sogno intramontabile che Ian Fleming marchiò per la prima volta ne la benda nera che da sessant’anni in un Casinò Royal. Poco incline al vivere normale l’agente si coniuga e si immedesima in personaggi e spaesamenti sempre sopra l’ordinario con una calibro giusta che punta il cerchio ondulante dentro un schermo semimovibile e una musica ordinaria (da una ‘piece’ teatrale) che diventa l’ago intramontabile di Monty Norman e del suo famosissimo “The James Bond theme” marchio di fabbrica inconfondibile (e naturalmente intramontabile) come pochissimi altri (in serie senza tempo).
   Il cast è di una forza dirompente: ogni gesto visivo e di contorno va oltre alle gesta dissacranti e di un’ironia finissima e accademicamente coniugabile agli ambienti forvianti, incastonati e sicuramente ben delineati fino al luogo ‘iperbolico’ di un eroe che si specchia e di M che vorrebbe nascondersi (dietro ai suoi vezzi e segnali di comando), uno skyfall irrisolto e autunnale, forestiero e pensieroso (nelle mani di un bambino e di una famiglia mai conosciuta).
   James Bond
(Daniel Craig) e M (Judi Dench) ripresi di spalle dentro il ‘boato’ ricolmo della vecchia casa di skyfall, con l’Aston Martin riesumata, sono un’entità astratta di un film illeggibile in superficie e di una storia profonda nel sotterraneo. Un nascondiglio c’è sempre per tutti. Mentre l’arrivo di un elicottero (‘si fa sempre notare’) simbolo di una battaglia moderna e passata (un ‘vietnam-gotico’) aleggia a tutto gas sopra le voci d’assedio di Roul Silva (Javier Bardem) in un groviglio di polveri e di metalli incrociati. Nel buio totale emerge il corpo (museale di un quadro valoroso di William Turner dentro la National Gallery, mentre QBen Whishaw-si accosta come nuovissimo,) accostato ad un eroe in vista e ad una prova (di pura azione) dove le pallottole s’infiltrano e il gas di due bombole danno consistenza ad un fuoco distruttore (di un passato e) di un nemico da confinare per sempre. Un coltello è ben utile come arma pre-immaginario per farne buon uso e distogliere il pubblico da un finale odoroso di avventura scoppiettante. E sì che Gareth Mallory (Ralph Fiennes) può suggerire al (vecchio-)nuovo agente per eccellenza di chiamarsi ancora James Bond (sempre pronto all’uso e al servizio della casa madre).
   E per nulla al mondo si possono dimenticare incontri di fascino e di bevute fuori comando (quando ognuno di noi si pone con la testa sul cuscino per godersi un film di livello medio e di avventura risaputa) come quella con Eve (Naomie Harris) che accerchia l’ispirazione bondiana ma non riesce a filtrare il puro mondo adrenalinico e il conto (salato) di un agente che si allontana (le bond-girl di vecchia maniera) mentre una doccia può rinfrescare la memoria nel taglio (con lama già usata) di una barba incolta (così senza dire di un eroe che lascia il pelo..ma non il vizio).

   Nulla da eccepire e nulla di contrario in una pellicola che sublima lo spettacolo e rinvigorisce l’escursus di una storia che salda i conti, che lucida il passato e che pensa ad un prossimo ancora da studiare. Il cuore pulsante è assenza di un corpo redivivo ma indice iniziale di un uomo che spiana la sua vita per azzerare il nuovo arrivo di un Bond senza storia. Fine di un sogno e di immagini incenerite con spaventi e idiomi di una forma rimessa a lucido. In questa ottica la visualità e la regia di Sam Mendes è oltremodo indicativa e piena di vigoria con valore aggiunto. Una cadenza da ‘mainstream’ super troneggiante e da assorbimento classicheggiante in piena regola. Una spugna di immagini che lasciano il segno e dove ogni trambusto ed effervescenza narrativa si posano sui volti scolpiti e sulla messa in scena di assoluto valore.
   Spettacolo per molti (e per chi apprezza e oltre il cinema bondiano) da vivere in armonia e da gustare in soprassalto. Da consigliare per non perdere tempo e non addormentarsi al primo passo. Una straordinaria e triturante sfida per chi ha voglia di cinema.

   Ricordare le prove ‘notevoli’ (rispetto a tanti paragoni che possono essere forvianti ed inutili) di Daniel Craig (una presenza che buca lo schermo ed una postura di vera classe), Judi Dench (assolutamente fuori dall’ordinario per un simile ruolo e veramente grande) e Ben Whishaw (eccezionali i suoi dialoghi e appunti con l’agente 007). Javier Bardem ha un ruolo ‘ingrato’, forse eccessivo in un alcuni tratti ma la sua entrata in scena è da manuale teatrale di inquadratura, passi, parole e sguardo. Un orologio (quasi) svizzero (che può anche risultare fuori forma nel finale).
   Da menzionare (ma non solo naturalmente) l’affascinate colonna sonora di Thomas Newman che ricrea un’atmosfera ad hoc e riesce a convertire il passo doppio del film in una musicalità avvolgente e trainante. La regia (come già detto) è di livello; d’altronde Sam Mendes conosce benissimo il suo mestiere e aggiunge nel film il suo ‘stile’ (aggiornato per l’occasione).

   Voto: 9 (una seconda volta è d’obbligo per uno spettatore che ancora vuole divertirsi).

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