Regia di Rodney Ascher vedi scheda film
Il documentario di Rodney Ascher sui possibili significati di Shining è interessante, benché non condivisibile in ogni suo assunto. L'autore presenta varie interpretazioni, per cui - citando a memoria - il film di Kubrick sarebbe rispettivamente il riflesso di un regista sul quale pesa il segreto di avere realizzato il falso filmato dell'allunaggio del luglio 1969, oppure una sorta di metafora/espiazione per un paese (gli USA) cresciuto mediante il sistematico genocidio del popolo dei nativi, oppure una riproposizione del mito del Minotauro intrappolato nel labirinto (struttura che a quanto pare non è presente nel romanzo originario di Stephen King), oppure una celata rievocazione dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti ed anche altre cose.
Tutte queste interpretazioni sono indubbiamente suggestive, ma anche poco supportate da prove stringenti e convincenti. Solo per fare un esempio, l'ipotesi di Shining come storia riferita all'olocausto degli ebrei poggia essenzialmente su un paio di elementi quali la presenza della macchina da scrivere di marca tedesca Adler (= aquila), che rimanderebbe all'aspetto burocratico dello sterminio, come sottolineato anche al processo di Norimberga, nonché la ricorrenza, nel film, del numero 42, in ricordo dell'anno (il 1942, appunto) in cui fu decisa la «soluzione finale della questione ebraica». Lo spunto - così come tutte le altre ipotesi presentate - è decisamente interessante, ma gli indizi per farne un unico filone interpretativo sono assai esigui. Lo stesso discorso vale per tutte le altre chiavi di lettura raccolte da Rodney Ascher. Gli elementi evidenziati potrebbero essere tutti veri, voluti e finalizzati agli scopi indicati dagli esegeti, ma Kubrick potrebbe averli volutamente disseminati per indicare diverse piste, non necessariamente false, ma concomitanti, anche ad avvalorare, come adombrato nello stesso documentario, l'idea di un film sulla persistenza del tempo, sugli effetti e sulle compenetrazioni tra passato e presente, come sembrerebbe confermare la celebre fotografia finale, con il volto di Jack Nicholson e la data del 4 luglio 1921, il giorno della festa nazionale americana (e qualcuno potrebbe far notare che il '21 è la metà del '42).
Ritengo improbabile che Kubrick abbia voluto fare un film sullo sterminio degli ebrei (cioè che abbia voluto farlo con Shining, perché è risaputo che il regista progettava un'opera sulla Shoah, cui rinunciò definitivamente solo dopo avere visto Schindler's List di Spielberg), o sul genocidio degli «indiani», o sul rimorso per avere segretamente preso parte al filmato del falso allunaggio, anche se vi sono, nel film, diversi particolari - che potremmo definire sviste o, con termine americano, bloopers - difficilmente compatibili con il notorio perfezionismo kubrickiano.
Detto questo, però, segnalerei un fatto, che mi ha colpito rivedendo in questi giorni Lolita (quello di Kubrick, del 1962, non il remake del 1997). Il film, sceneggiato dallo stesso Vladimir Nabokov che aveva scritto il romanzo, inizia con il professor Humbert che entra nella villa dello scrittore Quilty, cercando il proprietario, che sembra assente, in un ampio soggiorno che reca visibili rimasugli di una notte (o più) di bagordi. All'improvviso, Quilty, sbucando da sotto un lenzuolo o una toga romana stesa su una poltrona, risponde alle invocazioni di Humbert. Queste sono le prime battute del dialogo tra i due:
H - Quilty!
Q - What, what?
H - Are you Quilty?
Q - No, I'm Spartacus. Have you come to free the slaves or something?
Il film di Kubrick precedente a Lolita era appunto Spartacus. Chissà se questa battuta fu scritta da Nabokov o se sia frutto della penna del regista e se sia una di quelle licenze poetiche che fecero scoprire allo scrittore russo un film diverso dal copione che egli aveva scritto. Peraltro Quilty - il cui ruolo viene ingigantito da Kubrick, così come, per esempio, in Shining è inventato il labirinto che non è presente nel libro - continua con riferimenti alla romanità, come quando vuole giocare a «Roman Ping-Pong» e quando afferma «my motto is: "Be prepared"», che riecheggia la locuzione latina estote parati, di derivazione evangelica («state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà»), oltre che il motto dei Boy Scout.
Inoltre, quando Humbert si reca con Lolita in un hotel, viene loro data la stanza 242. Ecco, non so se il 42 di Shining si riferisca all'olocausto, ma potrebbe richiamare il numero di stanza di Lolita (peraltro assai vicino al 237 dell'Overlook Hotel che dà il titolo al documentario di Ascher), così come l'incipit dello stesso Lolita rimanda al film di Kubrick che l'aveva preceduto, cioè Spartacus. È troppo poco per poter dedurre che il regista richiamasse sistematicamente i propri film precedenti, ma se qualcuno non lo avesse già fatto, anche questo potrebbe essere lo spunto per ulteriori ricerche kubrickiane.
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