Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
Altre volte mi è capitato di dirlo: si può dire tutto, si può dire che erano film onesti, simpatici, fatti col mestiere, commerciali, non volgari, ma la maggior parte delle commediole dei vari Steno, Mattòli, Simonelli, Girolami e così via era oggettivamente mediocre. Ma era un altro cinema, un’altra Italia, un altro mondo. I fratelli Vanzina vivono ancora ostinatamente in quel mondo, ogni tanto connettono col presente azzardando qualche graffiata satirica, ma restano fondamentalmente ancorati ad una tradizione che era finita già negli anni sessanta per una marea di motivi (il boom, la contestazione, la tensione) e credono di aver raccolto il testimone dei maestri Monicelli, Scola, Risi, Comencini.
La dimostrazione è questa ennesima sciocchezza paratelevisiva pretestuosa e presuntuosa, fatta da sei episodi sparsi per lo stivale in perfetto stile vanziniano (sono ancora convinti che debbano esserci le quote regionali per i comici: la Roma di De Sica e Mattioli, la Puglia di Banfi e Abatantuono, la Napoli di Salemme, la Sicilia di Mannino, la Toscana di Francini) ambientati lungo una (a)tipica giornata italiana. Banale, noioso, datato, trito e ritrito. Il finale in tv c’era già stato ne Il pranzo della domenica, che a tutt’oggi continua ad essere il capo d’opera dei fratelli assieme a Sapore di mare.
Nel disastro mi sento di salvare solo De Sica, qui in un ruolo che gli è congeniale (un nobile decaduto morto de fame che gira per feste e non ha mai lavorato): pian piano lo sto rivalutando e comincio a pensare che è probabilmente uno dei più grandi commedianti in circolazione, migliore degli orribili film che ha interpretato per trent’anni. Gli altri? Banfi ed Abatantuono vanno indietro di decenni, Mannino non è pronta per il cinema, Mattioli ripete il solito ruolo, Francini ha poco spazio, Salemme e D'Aquino si pagano il mutuo, Conticini è impresentabile.
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