Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
The Master è la storia di due follie. Lucide e consapevoli, si incontrano e si riconoscono. Poi si dicono addio. Può dunque un pazzo, prendere parte alla pazzia di un altro pazzo? La risposta semplice e cristallina è negativa, nessun folle può partecipare alla follia altrui, ma tenterà di affermare la propria, comunque, sempre, ad ogni costo. Paul Thomas Anderson costruisce un film che affonda le proprie radici in una purezza classica che lascia attoniti. Si è parlato tanto delle straordinarie performance dei due protagonisti, e a ragione per carità sono entrambi da togliere il fiato, ma trovo che questa valutazione sia profondamente ingiusta nei confronti di una pellicola che possiede un rigore, prima di tutto nella sostanza che nella forma, da pietrificare il sangue nelle vene. The Master lavora per lineare sottrazione, arrivando a costruire un film che non trae la propria linfa vitale dai twist di sceneggiatura o da una serie di insistiti climax, abolendo di fatto tutti quei tipici meccanismi narrativi che creano immediata empatia con il pubblico. Non in pochi probabilmente avranno l’impressione di assistere ad una pellicola statica, eppure come in una splendida saga familiare, la trama non è importante, ma lo sono i personaggi, i loro caratteri e la loro follia, che cresce e si sviluppa in modo autonomo, cieco ed egoista. Vero è che The Master funziona lentamente, un pò come il metodo propugnato da Philip Seymour Hoffman, così con esercizio e pazienza, d’un tratto una parete non sarà più una parete e una finestra non sarà più una finestra. Il cinema di Anderson lavora sotto traccia, così che le parole d’un tratto non sono più parole, ma emozioni e la forma non è più semplice forma, ma vita vera e pulsante, parte integrante di noi e della nostra storia personale ed universale. Cinema di grandi domande e di risposte non manifeste, cinema che suggerisce e non grida mai, cinema che conquista alla terza occhiata, dalla quarta fila di un cinema di seconda periferia.
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