Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Nonostante Anderson giochi a confondere le acque e a proporre un cinema sempre più narrativamente involuto, nonostante il montaggio dispersivo e i buchi logici in sceneggiatura (sempre di Anderson), The master è tutt'altro che un film complicato: è solamente la storia di un americano (L'americano?) confuso e perduto al termine della seconda guerra mondiale, che ritrova - sia pure con gran fatica - una sua dimensione nel primo ciarlatano che incontra, in un falso profeta pronto ad abbindolarlo con sagacia, carisma, modi rassicuranti. E' un rapporto conflittuale però, di amore (poco, ma intenso) e odio (tanto, ma scellerato, frutto più di una rabbia interiore mal sfogata che di un effettivo scontro concreto), una relazione impari fra Master e Slave nella quale non può ravvisarsi anche una timida critica all'atteggiamento paternalista, ma al contempo assolutista, di Scientology. Joaquin Phoenix, magistrale, merita senz'altro la Coppa Volpi a Venezia, sebbene la divida proprio con un Philip Seymour Hoffman meno istrionico, meno vivido e impressionante del solito; il Leone d'argento ad Anderson e tre nomination agli Oscar (per i tre interpreti principali, e anche qui qualche perplessità sul riconoscimento alla Adams è legittima) sono solo un assaggio della messe di premi ricevuta dall'opera in tutto il mondo. Ma, francamente, per una volta il regista non sembra mettere perfettamente a fuoco ciò che voleva dire; contribuiscono a creare ambiguità - e anche un certo senso di stanchezza - le musiche minimali e per lunghi tratti del tutto assenti scritte da Jonny Greenwood (Radiohead) e la fotografia perennemente a luci basse, opprimenti di Mihai Malaimare Jr. 5/10.
Al termine della seconda guerra mondiale un marinaio Usa stenta a far ripartire la sua vita e si getta nell'alcol. Conosce così casualmente Lancaster Dodd, sorta di filosofo/psichiatra/santone e ne diventa il fedele braccio destro.
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