Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
P.T.Anderson si conferma uno dei pochi cineasti americani "pensanti" della nostra epoca. "Pensanti" nel senso letterale, cioè "che producono pensiero". Il cinema di PTA non ha dalla sua solamente l'innegabile maestria ed inventiva stilistica, ma propone una potente visione degli USA, del loro sistema di valori, della loro cultura e soprattutto delle loro perverse ossessioni. Visione potente dunque, eppure obliqua, opaca, instabile. Quello che emerge, come cifra registica dominante, nel cinema di PTA è la tendenza a diluire, dilatare, stemperare in uno sguardo asimmetrico, svagato, grottesco una materia di per sè epica (pubblica o privata che sia): che si tratti degli anni d'oro del cinema porno ("Boogie Nights", indimenticabile metafora degli USA anni 70), dei drammi personali, sentimentali, lavorativi o familiari che costellano la galassia metropolitana di "Magnolia", della corsa all'arricchimento smisurato e della fondazione dell'etica (?) tipicamente americana basata sul binomio capitale/religione esposte in "Il Petroliere" o, infine (per ora), dell'istituzione di culti "alternativi" come risposta alla (e sfruttamento della) crisi di identità della Nazione nel dopoguerra, PTA non prende mai di petto tale epica, ma la trascina a terra, allentandone l'enfasi, mescolandone gli ingredienti, affrontandone le contraddizioni, irridendone gli "eroi". In questo (e non nell'equivoco della "coralità" dei personaggi, da tempo abbandonata dal nostro) risiede la giusta definizione di Anderson come erede contemporaneo del grande Robert Altman (oltre che occasionalmente di altri grandi cineasti che hanno saputo mettere il dito nelle piaghe dolenti del Mito americano, dal Peckinpah di "Cable Hogue" al Brooks del "Figlio di Giuda"). Anche in "The Master", come nelle precedenti opere di PTA, il pathos, il dramma, l'empatia, il senso della tragedia vengono stipati in sporadiche, intense, quasi insostenibili sequenze dominate da soffocanti primi piani, per poi venire beffardamente negati appena dopo, con un semplice cambio di inquadratura, un bizzarro movimento di macchina, un ironico stacco di montaggio. Nel cuore di questa penosa e claudicante rapsodia di un'America miserabile, irretita dalla minaccia atomica e avviata verso un fondamentalismo settario anti-scientista, si rivela il senso di vuoto generato da una rete relazionale costituita da menzogne e raggiri, precisamente nel momento in cui Lancaster Dodd porta i suoi adepti nel deserto dell'Arizona, per una delle sue ridicole sedute: l'entusiasmante corsa in moto nel nulla e verso il nulla, trasparente metafora di un'America privata del suo stesso spirito libertario. Il film è complesso e prezioso, tanto da essere difficile da cogliere in tutte le sue sfumature, destinato quindi a generare pareri controversi. La disinvoltura con cui PTA compone un irregolare tempo della memoria (quella di Freddie, distorta dall'alcool e dai traumi bellici, oltre che da una convulsa erotomania), sballottando l'immagine dal passato al presente e aprendo a parentesi visionarie, consente di vedere l'epopea di Lancaster Dodd come prodotto di una mente alterata, alla disperata ricerca di un Maestro, di una guida, di un padre (e la mancanza di una figura paterna è uno dei temi ricorrenti in Anderson). Non importa se questo "master" vesta i panni di un brillante cialtrone, succube della moglie e truffaldino manipolatore di coscienze. Non importa se questo padre putativo allontanerà Freddie dall'amore della sua vita, lasciandolo nella morsa di un sesso consumato compulsivamente e di fantasie orgiastico-masturbatorie. Non importa se tale Maestro sia in realtà nient'altro che un impostore: il sentimento di complicità fra Dodd e Freddie è autentico, così come è evidente la loro complementarietà (il primo è l'intelletto, il secondo è l'istintività ferina). Lo stratosferico duetto attoriale finisce in parità: Phoenix e P.S.Hoffman danno il massimo nella prima lunga, seduta di prova, nonchè nella surreale ed inconfondibilmente anderson-iana sequenza della prigione. Unico rimpianto di un film imperfetto, ma vitale e grondante idee ed immagini, impreziosito da dialoghi eccellenti, è vedere l'immensa Laura Dern relegata in una parte secondaria. Ma si sa: l'America balorda, alienata, meschina ed opportunista di Paul Thomas Anderson, è destinata ad essere privata della grazia femminile.
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