Regia di Karel Kachyna vedi scheda film
Voto: 7,5/10.
Pubblico: imdb 7,8/10 – rottentomatoes 4,1/5 – filmtv (IT) 4,0/5 – allociné (F) 3,3/5 – screenrush (UK) 3,1/5 – kinopoisk (RU) 7,7/10
Critica: filmtv (IT) BUONO
Dizionari: farinotti 3/5
Interessante, e pressoché sconosciuta da noi, pellicola cecoslovacca del 1969. Il Muro di Berlino separava già il popolo tedesco, l’Europa e il Mondo. Praga, ad est, che aveva appena vissuto la sua Primavera, è la (non) protagonista di questo film. La capitale infatti non è certo ritratta nella sua versione da cartolina come può apparire oggi ai nostri occhi. Anche perché il campo visivo è molto stretto: la macchina da presa di Karel Kachyna vuole mostrare il modo in cui un clima di oppressione politica si possa riflettere fra le quattro mura domestiche. Non tutto viene istantaneamente spiegato allo spettatore: una coppia più o meno in crisi (Bohdalovà e Brzobohaty) non trova le chiavi di casa, mentre dei flash back mostrano un ricevimento con membri del partito cecoslovacco a cui i due coniugi hanno appena partecipato. Successivamente riescono ad entrare nell’appartamento, dove però manca la corrente. Mano a mano che fanno luce su questa strana serie di coincidenze, anche noi scopriamo la verità su cosa possa nascondersi nell’ambiente all’apparenza più familiare; a volte può non essere solo un detto quello che “anche i muri hanno le orecchie”. Questo aspetto è il punto di forza dell’opera, in parte costruita come una sorta di thriller claustrofobico. E’ interessante infatti sottolineare come il regista connetta i due piani temporali: per mostrare i tentativi del protagonista di ricordare i precedenti scambi di battute con i colleghi effettua il passaggio tramite il primo piano di Brzobohaty seguito da una soggettiva dello stesso al ricevimento. Una pellicola realizzata con pochi mezzi, in cui non tutto è messo a fuoco (e nonostante ciò in Cecoslovacchia ha impiegato oltre 20 anni ad uscire) e che probabilmente non è comprensibile appieno in tutte le sue pieghe. Pur senza la forza de “Le vite degli altri”, ad esempio, il film riesce a trasmettere efficacemente allo spettatore quell’ansia, quel filo di tensione (seppure stemperati, soprattutto nella prima parte, da una certa dose di leggerezza), che si poteva (può) respirare in una società soffocata da un tale tipo di regime.
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