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Vita di Pi

Regia di Ang Lee vedi scheda film

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La recensione su Vita di Pi

di ROTOTOM
8 stelle

Un soggetto tratto da un romanzo di Yann Martel giudicato tra gli intraducibili per il grande schermo. Una lunga gestazione produttiva che aveva in M. Night  Shyamalan il regista accreditato per via della sua profonda appartenenza alla cultura indiana. Poi il cambio di rotta che portò altri registi ad avvicinarsi al progetto per poi abbandonare e diversi sceneggiatori fino alla scelta finale di David Magee alla sceneggiatura e alla regia   Autore di sofisticata sensibilità, Ang Lee ha la capacità di accostarsi a generi completamente diversi tra loro e a  culture  lontane dalla propria con grande intelligenza e rispetto. Assorbe le caratteristiche fondanti la cultura che affronta per declinarla all’esigenza della storia senza alcuna banalizzazione.

In più il 3D  per una volta efficace e molto ben gestito. Ci voleva una sensibilità superiore per utilizzare la stereoscopia in modo artistico. La storia onirica e surreale, si nutre delle possibilità del 3D per espandere verso lo spettatore la percezione del sogno , l’astrazione di una situazione assurda trova nella profondità , nelle scene luminose e nella straordinaria fotografia , il palco naturale per esprimere le emozioni . Vita di Pi è solo un’altra tappa della carriera del grande regista taiwanese, una discesa nel fantastico che abbraccia le istanze della cultura indiana. Un  film di grande impatto visivo e emotivo.

 

Pi è un ragazzino indiano che per una bizzarria di un parente viene chiamato Piscine. Pi è il nome che si crea per difendersi dagli sberleffi dei compagni di scuola. Ragazzino dotato di grande sensibilità e intelligenza, si avvicina nelle fasi della sua vita a tutte le religioni cercando di comprendere il mistero della divinità che regola le vite degli uomini. Lavora in uno zoo gestito dal padre e quando si rende necessario il trasferimento degli animali in un altro paese, la nave che trasporta il carico fa naufragio. Si salva solo Pi su una scialuppa, insieme a una zebra, un orango, una iena e una tigre. La tigre che per una bizzarria simile alla sua- prende il nome del cacciatore per uno scambio di documenti - si chiama Richard Parker. Ben presto gli animali si finiscono a vicenda e Pi si ritrova in mezzo all’oceano solo con una tigre per compagna. Inizia così un lungo viaggio attraverso il tempo, lo spazio, la grandiosa e terribile potenza della natura. Un viaggio spirituale che condurrà Pi – narratore in prima persona della sua avventura – alla salvezza e a una diversa consapevolezza del mondo.

Ang Lee  impasta la cultura indiana dall’afflato bollywoodiano con il racconto intimista ma senza dimenticare la grande capacità del cinema di fare provare emozioni intense con la spettacolarità delle immagini. C’è una sottile tessitura spirituale che lega la vita di Pi – Pi come P greco, un numero dai decimali infinti che le convenzioni arrotondano per difetto -  con l’universo, la manifestazione fisica della mistica accettazione di un Dio si compie attraverso una lunga passione, ove la solitudine, la privazione, fanno compiere al protagonista un viaggio attraverso il sé più profondo svuotando la vita di ogni sovrastruttura e riconducendo ogni minuto della vita del giovane naufrago alla spiritualità pura. Non senza riempire gli occhi e – appunto -  lo spirito di ogni imperiosa manifestazione della natura .  Raggiunta l’essenza ecco il miracolo, forse vero, forse sognato. I corpi nel racconto di Pi sopravvissuto al naufragio, assumono connotazioni metafisiche lasciando il dubbio della veridicità del racconto. Pi espande il proprio essere oltre l’approssimarsi per difetto di quasi tutte le vite, con il destino del nome si riappropria idealmente di tutti i decimali evocati da quel nome, si avvicina a Dio riuscendo a compiere grazie alla comprensione completa della natura – la tigre – il mondo che lo circonda. E’ una favola, ma anche un bellissimo film d’avventura dal ritmo sostenuto, intenso e spettacolare. Una visione che riconcilia con il cinema puro, quello che fa sognare ed è capace di provocare nello spettatore una sincera empatia con il protagonista e le sue vicissitudini. 

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