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Vita di Pi

Regia di Ang Lee vedi scheda film

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La recensione su Vita di Pi

di leporello
4 stelle

Escludendo l’efficace tridimensionalità, per il resto questo film non mi ha convinto per nessun verso (cosa che con Ang Lee negli ultimi tempi mi accade spesso). Cos’è, una favola? Un trattato filosofico/religioso? Un viaggio iniziatico? Qualunque cosa abbia voluto essere (mi si perdoni  l’estraniamento dal best-seller da cui è tratto, che non ho letto e che invece apprendo abbia suscitato molti interessi in ambito letterario), “Vita di Pi” (ma non era più carino “Vita di Pee”?) è un film principalmente senza target, nel senso che non ha la capacità di rivolgersi a nessuno. E a niente, fuorchè a sé stesso. Lo definirei un film onanista, dove “Pi”  potrebbe allora essere l’abbreviazione di “pippa”,  somigliante più ad un filmino della cresima dei nipoti che non ad un kolossal costato oltre i 100 milioni di dollari,  in grado di procurare piacere, nel riguardarlo, giusto allo zio Lee che ha fatto lo sforzo di riprendere e montare. Due ore inutili, dove la prima mezza è un noioso incipittone in quel di Pondicherry stile zoo safari condito di misticismo-fai-da-te, seguito da un tempestoso e interminabile quarto-e-passa d’ora di naufragio, e per il resto un apatico smarrimento marino condiviso tra un ragazzetto selvaggio pieno di insospettabili risorse (tra le quali, ahimè, “Dio”) e una magnifica tigre digitale (che sono stato sulle spine fino ai titoli di coda per essere sicuro che si sia trattato davvero di tigre digitale e non torturata, nel caso fosse stata una tigre analogica - idem per zebre, oranghi, iene e suricati vari). Tanto per non farci mancare niente, il metodo utilizzato per la narrazione della vicenda sotto forma di incontro-intervista  del protagonista divenuto adulto, consente di includere nel cast (e io pago!…) un insulso scrittore biondino, con campi-controcampi sui due a colloquio che allungano ulteriormente il brodo, specie nel finale, al quale si giunge già esasperatissimi dopo il (davvero insopportabile) piagnisteo ospedalizio del ragazzetto selvaggio ormai al sicuro: uno strettissimo, oceanico primo piano sui lacrimoni che scorrono sul viso olivastro provato dalle fatiche (a proposito: niente barba lunga nelle settimane di naufragio? Così poco ormonalizzati gli adolescenti d’India o un trucco per non spaventare gli adolescenti paganti al cinema e consentire loro una migliore identificazione con l’eroe?)  che fa gridare “Cheppalle!!” a tutta la platea. E prima che i titoli di coda, con le ultime stringhe, diano conforto ai poveri animalisti in apprensione, una trafila kilometrica di “Unit” sparsi per mezzo mondo, uniti (per fortuna) ad un ultimo piacevole assaggio di consolazione con animazioni digital/tridimensionali davvero ben fatte. Un consiglio: se proprio non volete privarvi di questo film, almeno non commettete l’errore di voler risparmiare quei due o tre soldi per la versione bidimensionale, o vi ritroverete, al posto degli occhialetti, le palpebre direttamente abbassate sugli occhi, cullati dall’ammiccante colonna sonora, e perdereste l’unica cosa valida di tutto il film. Sì, perché in effetti le scene oceaniche diurne e soprattutto notturne sono fatte davvero bene, e, nel mio caso, sarebbero state ancora meglio se lo schermo del cinema dove ho potuto vederlo (il solito multisala maleodorante di fritto) fosse stato adeguato alla pellicola: sarei curioso di sapere se anche nelle vostre sale l’inquadratura è venuta clamorosamente tagliata per buona parte sopra e sotto, tanto da escludere per intero i sottotitoli di quei pochi dialoghi in hindi o in francese (ah, già: c’era pure Depardieu, tre minuti, giusto il tempo di raggranellare due spiccioli a cinque zeri per pagarsi il treno per l’espatrio….), alla faccia dell’”attrezzatissimo” e del megagalattico come si autodefinisce il cinema in questione….. Pazienza, dovrò solo stare attento a ricordarmene quando sarà di nuovo il turno di Ang Lee.

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