Regia di Derek Cianfrance vedi scheda film
In un tempo senza tempo, in quel d’America, lì, nel “posto al di là dei pini”, si consuma la tragedia di due uomini, creature pure, idealiste, profondamente simili seppur calate in realtà differenti (agli antipodi), che la vita/il destino fa incontrare, mettendoli l’uno contro l’altro per un attimo lungo quanto un battito d’ali di farfalla.
E dopo, tutto cambia. Irreversibilmente.
Il presente diventa passato, il passato futuro, il futuro presente.
Come un tuono, secondo lungometraggio del regista di Blue Valentine, è un dramma che sa far vibrare con sensibile maestrìa le dolenti corde di vite che un destino uggioso come un giorno di pioggia ha deviato dai propri prestabiliti binari, incrinato per sempre e definitivamente spezzato.
Idealmente diviso in tre parti, di cui la prima eccezionale, riesce miracolosamente a mantenersi racconto asciutto ed essenziale, lungi da insidiosi quanto altamente rischiosi scivoloni nel melò esageratamente lacrimevole.
Qui si piange, è vero, ma è un pianto composto, discreto, privato.
Ha il sapore dell’amarezza, dell’attonito disincanto, della silente rassegnata consapevolezza degli eventi, di come la storia ripeta, perpetuamente, se stessa, e pur variando nei dettagli (temporali, ambientali, sociali, culturali), finisce ogni volta col riproporre sempre il medesimo risaputo copione.
Un forte, disperato senso di predestinazione incombe e mai abbandona l’intera narrazione, dalla prima scena -l’ipnotico piano sequenza che accompagna di spalle un grande Ryan Gosling- a quella conclusiva.
Angoscia sotto pelle, atmosfera claustrofobica attanagliante non sono che i sintomi dei compromessi dell’esistenza a cui l’uomo necessariamente si piega, per mezzo dei quali è costretto a sporcarsi le mani, a imporre alla coscienza di tacere.
Con o senza il suo volere.
Un quanto mai appropriato commento musicale si fa struggente chiave di lettura delle reali, intime emozioni che investono i personaggi, degli sconvolgimenti interiori che li devastano, scavando prepotentemente un abisso tra i volti che si sforzano di apparire normali e l’inferno che si portano dentro.
E se la storia non fa che reinventare il passato, colui il quale ne ha fatto parte, per quanto non ci sia più nel (nuovo) presente, ha lasciato un segno, una traccia indelebile divenuta memoria vivida e pulsante.
Memoria che, di riflesso, rivive nel volto, nelle movenze, nei gesti, nel modo di essere di chi alla fine ne ripercorre ineluttabilmente le orme.
Prezioso.
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