Regia di Nima Nourizadeh vedi scheda film
Se volessimo eleggere un film come rappresentativo di un decennio, in testa a questa ipotetica selezione ci sarebbe indubbiamente “Project X”. E nel dirlo si piange, ci si dispera, ci si mette le mani nei capelli, si inorridisce. Perché purtroppo è proprio vero: il film in analisi è lo specchio di questa nuova generazione, della sua ossessione per il voyeurismo, della sua voglia di filmare tutto con qualsiasi dispositivo per renderlo pubblico e condividerlo in nome di una popolarità fittizia e, al contempo, per il piacere stesso che scaturisce da questa falsa quanto inappropriata condivisione.
A livello narrativo, la pellicola è un p(i)attume dall’inizio alla fine, senza svolte, senza guizzi, vuoto come i suoi protagonisti, lontano anni luce dall’essere divertente (suo scopo finale, ça va sans dire, mancato): null’altro che il mero svolgimento di una festa dove drogarsi, ubriacarsi e farsi le canne è tollerato, legittimato e ovviamente considerato spassoso!
Il vicino che – giustamente – pretende tranquillità viene bollato come guastafeste e quindi picchiato. Dopodiché ci si ride sopra, si batte cinque e si va avanti con la festa.
Gente all’ospedale, casa distrutta e un quartiere in fiamme, il tutto sotto l’effetto di stupefacenti.
Ma ad affossare il film, a violentare il cinema, e ad ergersi come triste manifesto di un fallimento generazionale è il commento accondiscendente del padre che, tornato a casa, trova tutto distrutto.
Ebbene quella battuta, quella risposta entusiasta data al figlio è una delle cose più gravi e intollerabili di cui il cinema si sia mai fatto portavoce.
Datemi pure del moralista: vi rispondo sì e me ne compiaccio anche!
Guai a considerare “Project X” come un divertissement da prendere alla leggera: è uno schifo solo il fatto che ci sia gente che abbia approvato a realizzarlo.
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