Regia di Arthur Penn vedi scheda film
Una storia impossibile, ma vera, che si gioca la rischiosissima carta del grottesco.
La signorina Sullivan è chiamata ad educare una bambina sordo cieca, un’impresa impossibile.
La seconda opera di Arthur Penn è già uno degli apici del cinema di sempre, la messinscena è splendida in una maniera che solo il bianco e nero permette e la storia è giocata sull’unico piano possibile: quello del grottesco. Scene dalle suggestioni orrifiche si susseguono ad altre dal sapore lucidamente demenziale; prendiamo rispettivamente, ad esempio, la scena in cui la povera Helen vaga nel prato come un fantasma, o la scena in cui sempre lei rompe il vaso per verificare poi col tatto che il viso dell’istitutrice sia dispiaciuto, per avere la prova che quanto fatto ha avuto determinate ripercussioni, compiacendosi poi del fatto d’aver indovinato: effettivamente la Sullivan è rammaricata per ciò che ha fatto. In questo folle ritratto, epico addirittura forse, ne emerge lo scontro tra una famiglia, il cui profondo amore cade nella pietà ? quindi nella sopportazione ? di una figlia la cui libertà sembra piuttosto quella d’un cane, e un’insegnante che per scardinare quell’estrema forma d’isolamento è costretta ad usare il metodo del trauma, della violenza spesso, epiche sono le scazzottate tra le due che rotolano tra i corridoi di casa strattonandosi i capelli e addirittura sul fango tirandosi schiaffi da far saltar via il collo.
Un ragionamento senza pietà sulla famiglia e sul perbenismo, una visione che oltre ad un accurato affresco è anche un’analisi su quanto di arretrato dai tempi portiamo appresso molto probabilmente ancora oggi, tipo un figlio arrogante ed un padre tutto d’un pezzo che si rivelano, il primo, uno smidollato succube del secondo mentre, il secondo, a sua volta è in realtà uno spietato tiranno; oppure la visione della donna, l’istitutrice infatti malgrado si presenti nelle vesti di professionista viene continuamente attaccata perché giovane e perché donna; la madre amorevole poi, che soffoca la figlia invece di allenarla ad entrare nel mondo reale.
Un film violento in fin dei conti, certo forse adesso è un po’ scontato dirlo data la crudissima filmografia del regista, certo ai tempi doveva essere stato sicuramente un pugno allo stomaco, inoltre qui più che in altre pellicole emerge una particolare brutalità concettuale, forse inedita sia prima che dopo di esso. Forse solo Anne Bancroft e Patty Duke potevano portare in groppa un prodotto del genere, la prima bravissima e quasi innovativa con quelle movenze morbide, quasi anticipando le movenze d’una ribelle ragazza del ghetto; la seconda mostruosa, per come interpreta una ragazza in una simile condizione, comunque un talento predestinato, non a tutti infatti capita di avere uno spettacolo televisivo personale con addirittura il proprio nome come titolo, una gara insomma tra quelle che ai tempi sarebbero ben presto diventate due icone assolute.
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