Regia di Arthur Penn vedi scheda film
Il silenzio di Helen Keller è, in realtà, un grido interiore ininterrotto, lungo quanto una vita; e il suo annaspare è una fuga disperata incontro a una luce inesistente, con le braccia protese nel vuoto verso un mondo inafferrabile. Dentro di lei le idee sono come farfalle impazzite, incapaci di posarsi sulle cose e di abbracciarle con le ali per comprenderne la forma. Per questo l’insegnamento di Anne Sullivan inizia dalle mani, che la bambina non dovrà più usare come armi selvagge, per pretendere e combattere, ma come strumenti intelligenti, per capire e comunicare. La percezione tattile fornisce conoscenza diretta e concreta, ma crea anche intima vicinanza, consentendo uno scambio di calore ed emozioni. L’affetto ha bisogno del contatto e si esprime con una carezza; la corporeità tangibile è il veicolo di ogni forma di amore, sacro o profano, dal verbo che si fa carne nel pane consacrato al richiamo istintuale dell’attrazione fisica. Toccare per scoprire anziché per possedere è il primo passo che allontana l’essere primitivo dalla bestialità e lo incammina verso l’eros del Simposio, che è desiderio di sapere. Platonica è anche la visione dell’apprendimento come ricordo, come riviviscenza dei concetti-ombra impressi nella mente umana fin dalle origini iperuraniche del cosmo. Le metafore della creatura nascosta dentro al guscio, e della persona prigioniera delle tenebre che attende una liberatoria rinascita – con cui, nel film, l’educatrice Anne si riferisce alla sua allieva Helen – ripropongono proprio l’idea di un’umanità potenziale che è insita, in ugual misura, in ogni persona, indipendentemente dal suo aspetto e dalle sue facoltà sensoriali, verbali e motorie, e che le assicura una dignità a priori, a prescindere dalla sua capacità di interagire con l’ambiente. Questa è la categoria dell’essere, che basta a definire l’uomo e a rendere reale la sua vita, ed è, anche senza il fare o il dire, la modalità attraverso cui l’anima, eternamente, esiste.
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