Regia di Chris Butler, Sam Fell vedi scheda film
Povero Norman. È il solo a vedere i fantasmi, e nessuno gli crede. Anche per i suoi genitori è un ragazzino strano, che si inventa storie assurde per attirare l’attenzione. Ma le persone di cui vede gli spettri sono realmente esistite, e sono veramente morte. A queste si è aggiunto ora il vecchio signor Prenderghast, un suo zio vagabondo che, poco prima di passare a miglior vita, gli affida un incarico di cui, fino ad allora, si era occupato lui: impedire ad una fattucchiera, condannata al rogo secoli fa, di portare a termine la sua maledizione, scoperchiando le tombe e facendo uscire un esercito di zombie. La minaccia si rinnova ogni anno, nell’anniversario della sua esecuzione. La formula per bloccare il funesto incantesimo è contenuta in un antico libro, ma Norman non conosce i dettagli della procedura e quindi, allo scoccare dell’ora fatidica, l’incubo si avvera, seminando il panico tra gli abitanti della sua città. L’esordiente regista e sceneggiatore Chris Butler, con la collaborazione del Sam Fell di Giù per il tubo, realizza, in stop motion 3D, una favola nello stile dell’horror adolescenziale, che applica una romantica ironia esistenziale al dramma della diversità. Norman è preso in giro dai coetanei, esattamente come il suo compagno Neil, il classico ragazzotto grassoccio e lentigginoso; ed è, soprattutto, incompreso dagli adulti, che per lo più, lo prendono per pazzo. Forse hanno anche un po’ paura di quelle sue visioni, della sua presunta facoltà di parlare con la nonna defunta, e, in generale, della familiarità che mostra di possedere con i misteri dell’aldilà. A lui tocca, in un’epoca moderna ed apparentemente illuminata, una sorte analoga a quella che, nei secoli bui, spettava alle streghe, portatrici di facoltà magiche le quali, nella gente comune, sapevano suscitare soltanto un misto di invidia e diffidenza. L’essere umano è intimorito da ciò che non capisce. Ed è soprattutto spaventato di fronte ad un’infanzia che si sottrae alla sua autorità e pretende di sopravanzarlo nella conoscenza delle cose della vita. Un bambino medium non fa meno paura di una bambina maga, che gioca col fuoco e probabilmente è in contatto col diavolo. Quando la trascendenza si sposa con una innocente fantasia anche i mostri si trasformano in buffi cartoons. Sono pupazzi con cui Norman parla amichevolmente, mentre per i grandi sono orribili nemici da combattere a fucilate: il terrore, secondo il significato cinematografico del termine, nel farsi parodia si incrocia col western e diventa una questione di punti di vista, deformata dalla prospettiva schiacciata dell’ambiente provinciale. Norman non è normale in senso stretto, perché è paranormale, ossia appartenente ad una normalità allargata all’immaginazione, che chiede solo di essere accettata per quello che è: un regno in cui tutto è possibile, tanto pacifico quanto fragile, che un eccesso di scrupolo o di ragione può facilmente ferire a morte. Ed è precisamente questa umana vulnerabilità - che inserisce quella dimensione invisibile, a pieno titolo, nella nostra realtà - a segnare un punto di rottura rispetto alla tradizione del genere, nella quale l’inferno, con le sue forze distruttrici, è un’entità potente e a sé stante. Gli autori di Para Norman hanno imparato la lezione di Tim Burton, che ha preso le distanze dal carattere assoluto ed invincibile del male, per farne il lato in ombra della festa della vita. Ma qui non troviamo lo spleen lunare di Nightmare Before Christmas e de La sposa cadavere, né quella fatale tragicità nella quale l’allegria del musical è solo un modo per tirarsi su il morale. Butler e Fell preferiscono costruire il lugubre con le tinte fluorescenti del sogno, rendendolo partecipe di quella calda morbidezza di contorni che è il carezzevole tratto distintivo del mondo delle bambole.
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