Regia di Josh Trank vedi scheda film
Siamo in tempi di crisi e su questo non ci piove. E allora, in un'ottica di cifre, di bilanci e di obiettivi economici, è perfino scontato che chi opera nel campo del cinema, a livello di scelte e di investimenti, voglia fare bene i suoi conti. E fin qui ci siamo. Il problema sorge quando la macchina che produce cultura (di cui il cinema a pieno titolo fa parte) ragiona solo in termini di mera convenienza. Mi sembra già di sentire un borbottìo: "ma Chronicle non sarà mica un film ruffiano o furbo!". Beh, a giudicare dalle recensioni finora colte un po' ovunque, i nostri critici stanno riempiendo il film di elogi, attribuendogli in molti casi i caratteri di un piccolo miracolo, di una genialata prodotta a budget ridotto, basando lo sforzo creativo sulla novità di un'idea e sull'offerta di uno spunto riflessivo importante, ciò che fa di questo film già un cult. Io non la penso proprio così, anzi forse l'esatto contrario. Ritengo che "Chronicle" sia una gran furbata, costruita scientificamente a misura di cervello di adolescente. Location circoscritte, non troppi attori, budget ragionevole (forse è andato tutto in effetti speciali: su quelli -peraltro affidati a quel Simon Hensen che aveva lavorato benissimo per "District 9"- si è probabilmente scialato). L'importante era costruire un "caso", scatenando nei media, attraverso un lavorìo costante in rete, la percezione dell'attesa di un evento ed alimentando l'impressione di un film "che fa pensare", e contemperando tutto ciò con la presenza di personaggi le cui caratterizzazioni li rendessero appetibili, nel senso del possedere quei canoni estetici e mentali in cui i giovani fruitori di cinema potessero riconoscersi. Ma in questo sforzo produttivo-creativo è evidente l'aspetto del calcolo, la ricerca di un obiettivo commerciale. Tradotto in soldoni: utilizzare facce da idolotti pop televisivi che potessero far presa immediatamente sui ragazzini ma al contempo mettere in scena una vicenda con implicazioni anche (apparentemente) "pesanti", attinenti alla fragilità dell'animo umano e che evidenzino risvolti di sofferenza interiore. Inseguendo dunque il doppio impegnativo risultato di piacere tanto ai ragazzini quanto alla critica esigente. E sembra che l'obiettivo sia a portata di mano, se consideriamo le buone recensioni e il sorprendente successo al box office. E invece a me il film non ha convinto per niente. Soprattutto furbo. Il problema più evidente è nella proposta di un tema importante, certo, e anche impegnativo, ma affrontato in modo sgangherato, in quanto legato a fatti e personaggi scritti spudoratamente a misura di adolescente. La vicenda è assurda sotto ogni punto di vista. Mi si dirà che, trattandosi di sci-fi, non è richiesta alcuna patente di realismo. Ma questo è vero fino ad un certo punto, anche perchè la storia prende le mosse da una base quotidiana reale. Poi, dopo il primo quarto d'ora, ecco che entriamo in un mondo "fatato" dove succede di tutto e manca solo che gli asini vòlino (beh, di asini che volano a dire il vero ce ne sono almeno tre, ma sarebbe troppo facile come battuta). Sono le dinamiche comportamentali dei tre pivelli che non funzionano, sembra di stare in una favola pop-dark scritta sotto acido. Abbiamo questi tre giovanotti amici per la pelle che, grazie ad un meccanismo oscuro e sul quale per decenza è meglio non indagare, scoprono di aver assunto dei superpoteri (ramo: telecinesi). Nessuno sconvolgimento, figuriamoci, anzi giù con frizzi e lazzi, coi "wow" e i "che fico" che si sprecano. Già potete immaginare dove i ragazzi testano in prima istanza i suddetti poteri, ovviamente nel far sollevare le gonne delle amichette (era un passaggio obbligato, nulla da eccepire). Ah, dimenticavo un dettaglio importante: uno dei tre vive una realtà famigliare assai problematica, con una madre malata terminale e un padre violento e alcolizzato. E già quest'ultimo aspetto viene trasformato in siparietto drammatico piuttosto irritante (questo padre cattivone è uno stereotipo vivente). Diciamo anche che, dei tre, ce n'è uno di colore che che non sta mai zitto, esibizionista e incontenibile. Ma uno dei pochi meriti della sceneggiatura (firmata da Max Landis, un cognome da niente) è quello di toglierlo di mezzo quasi subito. Figuratevi un po' che viene colpito da un fulmine mentre vola. Sì, perchè questi tre sciroccati per tutto il film fanno soprattutto due cose: 1) ogni tanto si alzano in volo verticalmente a tutto gas per poi mettersi a discutere animatamente mentre stanno sospesi tra le nuvole. 2) ogni tre minuti i due sopravvissuti si prendono a male parole, gridando scemenze d'ogni genere, sempre più incazzati. Va detto poi che tale aggressività si libera definitivamente nell'Armageddon finale, che è un delirio assoluto, uno scatenamento inaudito di effetti speciali che fa sorridere se uno pensa al nulla su cui si regge, alla miseria intellettuale di questi due poveracci, le cui spalle avrebbero scarsamente giovato perfino all'agricoltura. Immaginatevi questo tizio, con una faccia spiritata che manco l'esorcista, che volteggia nel cielo sopra Seattle indossando un pigiamino da ospedale, tra finestre in frantumi e auto della polizia che si accartocciano, suscitando il visibilio dei picchiatelli in sala (non distante da me ne avevo un paio -con regolari cappellini d'ordinanza- che manifestavano palese entusiasmo). Nota a margine: se fossi un legislatore, emetterei subito un decreto che vieti di realizzare ulteriori film dove il protagonista ha la fissa riprendere tutto con la videocamera....BASTAAAAA! Prima la Strega famosa poi i vari Paracul Activity...non se ne può più!! E...vogliamo parlare del commento musicale del film? Vogliamo dire che è pressochè irrilevante, se si esclude un "Ziggy Stardust" piazzato lì come i cavoli a merenda? E dei dialoghi ne vogliamo parlare? Nella primissima parte sono quelli che tutti possiamo ascoltare in una gelateria o in una sala giochi, poi quando la vicenda declina sul tragico essi si caricano di un'enfasi e di una retorica drammatica insopportabili. Tutta la critica (quasi tutta) si è bagnata le mutande con questa solfa che il figlio di John Landis (wow: e allora?) si è cimentato con il tema profondo del . Io posso solo dire che se si affronta una tematica del genere non lo si può fare a livello di picchiatelli da sala giochi. E, per finire, cos'è quel fervorino finale? Ma dove si trova quel pirla? A Katmandu? Sull'Everest? Sta di fatto che si rivolge alla camera per pronunciare un discorsino imbevuto di retorica che per fortuna dura poco e che è seguito dai titoli di coda, mai tanto benvenuti come in questa occasione.
Voto: 3
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