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Rock of Ages

Regia di Adam Shankman vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Rock of Ages

di alan smithee
6 stelle

Ogni musical che si rispetti difende a spada tratta la sua bandiera, la musica che si porta dentro, il genere che vuole proteggere ad ogni costo; ogni musical inoltre trasforma, manipola la storiella che si porta dietro per forgiare un inno e insieme una lode a chi ha contribuito a creare e far diventare grande ed indimenticabile quel capitolo musicale che gli preme trattare. Il titolo di questo film non fa certo mistero sul genere che si vuole prendere in considerazione: uno dei piu' amati e coinvolgenti del resto, capace di trascinare masse imponenti ed incantare col ritmo e l'energia dei suoi piu' illustri storici esponenti. Siamo verso la fine degli anni '80: arriva a Los Angeles direttamente dall'Oklahoma la bella biondina tutta speranze e sogni di gloria (una Julianne Hough che sembra una Aniston bambina che si crede la nuova Olivia Newton-John) e manco e' scesa dall'autobus che l'hanno gia' rapinata ed ha gia' trovato il ragazzo della sua vita, cameriere con aspirazioni piu' ambiziose nel mondo del rock. E' amore a prima vista, giovani e belli quanto sono.
Giovani e belli certo, ma pure con grandi speranze e ambizioni, dilaniati dal dilemma se sia meglio amarsi ed essere nessuno o sfondare nella musica e buttare via l'amore della vita. Storiella risibile, tenuta insieme da apparizioni d'eccezione, peraltro non tutte memorabili: Tom Cruise funziona, ma solo per i primi cinque minuti: la sua interpretazione, tutta fisica e manierata, tutta esposizione di pettorali e addominali, come il Conan del rock duro, e' simpatica ma finisce presto per risultare un po' stucchevole e ripetitiva; non ne parliamo quando la grande rock star subisce una mutazione politically correct che proprio non gli giova: da cafona e sfatta persa a salvatore del celebre locale di Alec Baldwion nel mitico Sunset Strip hollywoodiano. Paul Giamatti e' bravo ma sempre un po' uguale a se stesso, qui nei panni dell'infingardo agente del divo Stacee Jaxx; Alec Baldwin e il suo compare Russel Brand costituiscono il corretto siparietto anche qui in nome del troppo abusato politically correct, nel rappresentare un datore di lavoro e il suo cameriere che si scoprono innamorati persi. Insomma alla fine si salvano piu' che altro due grandi donne: Mary J. Blige, voce strepitosa, l'unica vera grande cantante in questo musical vivace ma anche molto sciocco; e a sorpresa la performance di una scatenata Catherine Zeta.Jones, non nuova nel genere (anzi grazie al sopravvalutato Chicago si e' pure portata a casa una statuetta degli Oscar non molti anni fa!), qui nei panni della bigotta, cattiva ma splendida moglie del politico spregevole di turno. Un po' piu' signora rispetto a come ce la ricordavamo, la Zeta-Jones sfodera un immutato sex appeal e una grinta da tigre che non passa inosservata, soprattutto quando la vediamo battersi contro la presunta corruzione ed immoralita' del rock duro del divo Jaxx (nei confronti del quale nutre un risentimento molto personale) pure lei a colpi di rock (combatte il rock a suon di rock), scatenando numeri e coreografie piuttosto divertenti in cui risaltano fra l'altro un paio di gambe statuarie e perfette come un'opera d'arte. 
Storiella qualunque dicevamo, musica buona, a volte ottima, figlia di un'epoca che ci pare gia' cosi' lontana da incuterci paura. Un periodo in cui i cellulari costituivano uno status simbol pur pesando diversi chili, e in cui gli uomini rubavano il trucco alle proprie consorti prima di recarsi al lavoro; ma anche un'epoca di cambiamento, che nel film si concentra unicamente col passaggio dal rock puro alle effimere e meno ispirate boy-band che dagli anni '90 avrebbero dominato il mondo delle vendite discografiche, segnando il passaggio definitivo da un genere maturo e con solide radici, al mondo piu' disonesto del puro calcolo commerciale, che si sarebbe esteso presto a tutti i comparti di un mercato sempre piu' inesorabilmente e spietatamente globalizzato.

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