Regia di Brian Klugman, Lee Sternthal vedi scheda film
Poteva essere un film bellissimo “The words” ed in fondo (quanto in mostra) ha davvero tanto da dare (dire), ma allo stesso tempo si esaurisce anche senza riuscire a dare un senso ultimo alla sua triplice storia, sintomo di un’idea di base intrigante come poche altre, ma che non riesce ad essere sviluppata fino in fondo secondo le accattivanti premesse.
L’affermato scittore Clay Hammond (Dennis Quaid) presenta il suo nuovo libro che narra la storia di Rory Jansen (Bradley Cooper) che grazie alla scoperta di un disperso manoscritto riesce a scrivere il libro che finalmente lo porta al successo.
Ma il passato non tarda a farsi sentire e chi l’ha scritto (Jeremy Irons), e poi perso, si palesa frantumando le certezze che Rory aveva ormai acquisito cambiando improvvisamente la sua concezione degli eventi.
Soggetto davvero intrigante, ma sviluppato senza scavare a sufficienza nei vari meandri a disposizione (davvero molteplici), in pratica una storia nella storia della storia, una cosa di per se labirintica che il racconto riesce a sviluppare solo fino ad un certo punto.
I pregi sono parecchi, a partire dalla sincera intimità che il rapporto tra Jansen e sua moglie (Zoe Saldana) trasmette, arrivando al concetto di codice morale passando dal valore intrinseco che un concetto di suo possiede per cui il resto (almeno per “Il vecchio” interpretato da Jeremy Irons) non ha quell’importanza che invece, facendo leva sulla posizione sociale, possiede per partito preso.
Tutto viene raccontato su diversi fronti senza trovare un significativo equilibrio, le rimembranze storiche non sono accantonabili, ma pur possedendo fascino per certi versi indelebile non raggiungono livelli drammaturgici importanti, mentre il presente reale dovrebbe ergersi a protagonista, ma la chiusura lascia interdetti nonostante quel volto di Dennis Quaid appaia quasi come un valente quadro sintomatico, con quello sguardo che buca l’obiettivo.
Un film confuso, ricco di grandi squarci di cinema, ma al quale manca parecchio per potersi considerare concluso e definitivo, che avrebbe meritato una scrittura in grado di arrivare alle due ore e che nei venti minuti che mancano probabilmente perde ciò che gli manca.
Rimane un certo fascino, trasmesso da più di una scena che ci fa sentire sentitamente partecipi di quanto succede, una dimensione plurima del racconto che sa di esistenza (il giovanissimo (Ben Barnes), il desideroso di arrivare Rory, l’arrivato Clay ed il morente Jeremy Irons), ma poi la quadratura del discorso non arriva a compimento.
Un peccato mortale che non cancella l’insieme, ma allo stesso lo rende debole, nonostante il fascino non possa venire cancellato facendoci rimanere con l’amaro in bocca.
Intrigante, ma incompleto.
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