Regia di Julie Delpy vedi scheda film
Dopo aver fatto scapicollare lo straniero Adam Goldberg per gli arrondissement parigini, Marion/Julie Delpy trova relativa e transitoria quiete col nuovo compagno Chris Rock nella Grande Mela, dove accoglie la famiglia in visita dalla Francia. La sorella solo intravista nei 2 giorni a Parigi si rivela una ninfomane habitué delle droghe leggere, il papà si approccia al genero in modo fin troppo confidenziale, mentre la Delpy prende l’arte della sceneggiatura a scoppio e la mette da parte a favore di un autobiografico rimescolamento di eventi, gesti, parole. Può vendersi l’anima in un gesto “concettuale” o fingersi malata terminale per non farsi sfrattare: ha il potere di essere al contempo spontanea e delirante, naturalmente incontenibile e spudoratamente incredibile. Apre e chiude su un teatro di marionette fatto in casa, come a ribadire che il suo cinema è soprattutto découpage affettivo: ritagliando angoli di vissuto, appiccicando lembi familiari (il padre di Marion è il suo) a situazioni montate di lucidissima isteria, dimostra ancora una volta l’universalità del quotidiano. Come dice il suo personaggio, di fronte agli autoritratti in mostra, «pensavo che mediante lo studio di un microcosmo avrei potuto capire gli altri». L’interlocutore lo trova pretenzioso, in un cortocircuito con l’intenzione dell’autrice che senza riserve prende a morsi la vita (e Vincent Gallo, in un cameo). Nel capitolo francese, il fidanzato la esortava a imparare a controllare la rabbia: evidentemente non l’ha fatto, le auguriamo di restare impulsiva e nervosa.
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