Regia di Paul McGuigan vedi scheda film
E' al genio di Steve Moffat, sceneggiatore di molti episodi del Doctor Who, che dobbiamo la perfezione della struttura di questo piccolo gioiello di intelligenza(ma scoprirete che gli episodi successivi non sono da meno) che, sospettiamo, il padre di Sherlock Holmes avrebbe molto amato. Se la rielaborazione di Guy Ritchie era forse più sfacciata e rompente, qui tuttavia il miracolo di sceneggiatura/cast/revisione di ambienti e situazioni riporta davvero in vita il personaggio di Conan Doyle, con tutte le sue stranezze, vezzi, fragilità, e punti di forza: lo Sherlock di Benedict Cumberbatch(attore sublime: volto-voce-carattere) è vitale ed autentico proprio come il Watson di Martin Freeman(anche lui grande), e le dinamiche dei due personaggi sono una perfetta combinazione di fedeltà all'originale e rielaborazione moderna. Lo stesso avviene per le trame alla base di questo, e dei seguenti episodi(bellissimo "Una scandalo in Belgravia"). Sherlock, "high-functional socyopath"-come lui si definisce per rispondere all'accusa di essere uno "psicopatico", ha l'acume di un genio e il tatto di un bambino con un ego smisurato; la fragilità dell'uomo solo che usa il proprio intelletto per difendersi da un mondo in cui la sua intelligenza è troppo acuta ed evoluta per poter scendere a compromessi con le "normali reazioni/idee" delle persone comuni, fino al punto di non riuscire neppure a comunicare ad un livello elementare coi suoi simili(fantastico il momento in cui dice a Lestrad "Shut up!" quando l'ispettore non ha detto nulla, per poi aggiungere "You were thinking. It's annoying"). In questo, Watson, umano e aperto di mente, è il compagno perfetto: ferito dalla guerra e dalla vita, anche lui è "azzoppato" rispetto alla normalità che lo circonda. E proprio nel suo incontro con la vitale diversità di Sherlock, riuscirà di nuovo a camminare(come Sherlock ad avere un "ponte" di comunicazione col resto del mondo).
Le psicologie dei protagonisti si sviluppano così, con profondità sconcertante ed altrettanta sconcertante leggerezza di espressione, tra una risata, un moto di sorpresa, un momento di ironia(bellissima la scena in cui Sherlock pensa che Watson stia flirtando con lui), uno di tensione...uno umanissimo.
Ed è precisamente in questo che sta la bellezza della serie, forse la migliore uscita dal Regno Unito negli ultimi anni, se non tra le migliori di genere in assoluto che si sono viste da molto tempo: la profondità delle storie, come quella dei personaggi con le loro dinamiche affettive e personali, è espressa col tocco divertito ed ironico della commedia(o dell'avventura leggera), mentre basta un attimo di riflessione per comprendere la complessità del lavoro di sceneggiatura, che amalgama alla perfezione originale e moderno, dramma e risata, avventura e riflessione.
Feeling perfetto tra Freeman e Cumberbatch: il primo pacato, ironico e curioso, il secondo appassionato e geniale sotto l'apparente scorza di imperscrutabilità e commenti pungenti. Aggiungerei, e VI CONSIGLIO DI ASCOLTARMI, che la serie, molto bella in lingua italiana, è addirittura meravigliosa in inglese: merito di una recitazione affiatata e spontanea, ma anche della voce dell'affascinante Benedict Cumberbatch, che è forse una delle migliori che potrete sentire in circolazione al momento.
IMPERDIBILE.
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