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Sugar Man

Regia di Malik Bendjelloul vedi scheda film

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La recensione su Sugar Man

di OGM
10 stelle

L’Oscar 2013 per il miglior documentario va a una storia illogica, anomala, incomprensibile. Il suo protagonista è un musicista fallito, che in patria riesce a vendere soltanto un paio di dischi, e che non sa, invece, che dall’altra parte del mondo, è diventato un mito così grande da oscurare persino quello di Elvis Presley. Una vicenda che fino a vent’anni fa era forse ancora concepibile, prima che l’avvento di internet azzerasse le distanze, permettendo ad ogni notizia, vera o falsa che sia, di diffondersi in tutti i continenti in una manciata di minuti. Nessuno conosce Sixto Rodriguez, un americano di origine ispanica che vive nel centro di Detroit, in una casa modestissima, sbarcando il lunario come operaio. Per anni la sua vita procede così, in una tranquilla invisibilità, mai turbata nemmeno dal sospetto che, per milioni di altre persone, il suo nome, il suo viso e la sua musica possano rappresentare la ribellione e la speranza di un’intera generazione. Il fenomeno esplode quando qualcuno, sbarcando da un aereo a Città del Capo, porta con  sé una copia dell’album Cold Fact: un disco di vinile, o forse una registrazione su una musicassetta. Erano gli anni settanta, e in Sudafrica regnava ancora, tra mille contestazioni da parte dei giovani, l’assurdo regime dell’apartheid. Il regime di Botha governa  a suon di propaganda, violenze e censura. Ma niente riesce a fermare l’onda scatenata da quelle note e quelle parole, che mischiano poeticamente rassegnazione e protesta, e che si direbbero scritte da un altro Bob Dylan. In poco tempo sono centinaia di migliaia le copie in circolazione, legali o pirata, di quel LP - come si diceva allora - che si è rapidamente trasformato in un invito alla rivolta, in un inno alla libertà e all’autodeterminazione. A nulla serve che le autorità vietino la  riproduzione in pubblico di Sugar Man, il brano ispirato al mondo della droga. Nell’archivio di stato è ancor oggi conservato un esemplare del 33 giri nel quale la traccia di quella canzone è stata cancellata con un oggetto appuntito. I potenti hanno paura di Sixto Rodriguez, e lui neanche lo immagina. La svolta avverrà solo nel 1998, quando la caccia all’uomo intrapresa da un giornalista porterà, infine, dopo mesi di ricerche, all’incontro tra un ignaro artista/profeta e la sterminata moltitudine dei suoi ammiratori/seguaci.   Questa non è una leggenda qualunque. Perché non è a solita favola a cui è facile credere. È invece una realtà che si fa fatica ad accettare come possibile. Un equivoco enorme e crudele. Un destino terribilmente beffardo. Un paradosso che non ha eguali. Un talento misconosciuto, finito nell’ombra,  proietta lontano un alone luminosissimo. Uno scherzo di luce che normalmente è consentito soltanto dalla deformazione prodotta dal passare del tempo, da quel cambio di prospettiva che a volte ingigantisce certi dettagli nascosti del passato, restituendoli solennemente alla ribalta del presente. Rodriguez è una gloria postuma vivente. Un redivivo che non è mai morto. Un uomo a cui la fortuna ha lanciato un bacio soffiandolo dal palmo della mano, senza toccarlo. Qualcuno direbbe che sono cose che accadono. E il film di Malik Bendjelloul ci spiega precisamente come, facendo parlare i personaggi che a ciò hanno contribuito attivamente, o che, semplicemente, ci si sono ritrovati in mezzo. Un sogno che si chiude con un lampo abbagliante: un bagliore emerso dal buio, attraverso la sottilissima fessura che, in un punto imprevisto, interrompe la meccanica continuità della vita, e, per un attimo, si inserisce nel solco della vagabonda bizzarria dell’Arte. La forza di Searching for Sugar Man sta tutta nella storia  che riesce a raccontare.  Con calma e rigore, ed anche una buona dose di passione, ma senza mai perdere la testa di fronte alla sua insanabile stranezza. Una testimonianza che non ha paura di nulla. Nemmeno di ciò che sfida la ragione con voce sommessa, non concedendoci neanche la consolazione di vederlo esplodere nei fragori del sensazionalismo.

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