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Marina Abramovic. The Artist Is Present

Regia di Matthew Akers vedi scheda film

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La recensione su Marina Abramovic. The Artist Is Present

di barabbovich
10 stelle

Nella Yugoslavia di Tito i suoi genitori venivano considerati eroi nazionali per la dedizione allo spirito militare (e non solo) della patria. È così che Marina Abramovic, l'artista che più di ogni altra si è distinta nel campo della performig art, ricorda di essere stata formata con un'educazione da autentico soldato. Quella stessa disciplina, a partire dai primi anni '70, l'ha messa a servizio della sua arte, basata sulla capacità di portare il proprio corpo a sforzi estremi. Nella galleria interminabile delle sue rappresentazioni, culminata nei 3 mesi passati al MoMa di New York, si trova di tutto. The artist is present è solo una delle tante tappe che segnano il parossismo della sua arte, un'opera in occasione della quale la Abramovic è rimasta seduta per 3 mesi, 8 ore al giorno (per un totale di 716 ore e 30 minuti), a guardare in faccia le persone - prima con un tavolo frapposto, poi senza nemmeno più quello e con un alloggio nascosto sotto la sedia nel quale urinare.
Il film assembla, grazie alle immagini di repertorio, gran  parte dei suoi lavori più noti, a partire da quelli degli anni giovanili, realizzati con Ulay, il grande amore della sua vita con quale girò a bordo di un furgone per 5 anni consecutivi, mettendo in scena performance sovrumane: schiaffi continui a botta e risposta; 16 giorni di digiuno, seduti uno di fronte all'altro; la camminata per l'intera lunghezza della grande muraglia, partendo uno da Ovest e l'altra da Est e durata 3 mesi fino all'incontro a metà strada (oltre 4000 chilometri a testa), 16 ore consecutive passate a urlare. E poi le performance senza Ulay: dalle interminabili sedute in cui la Abramovic si passava un coltello a velocità supersonica tra le dita aperte della mano, lasciando innumerevoli tracce di sangue, proseguendo con la consegna del suo corpo al pubblico, libero di farne qualsiasi cosa (persino di usare una rivoltella), alla stella a cinque punte prodotta sulla pancia con una lametta fino alla summa della sua arte-pensiero, quel "The artisti s present", appunto, che colloca l'arista stessa al centro della sua opera d'arte nella sua forma più esasperata. Fa discutere, Marina Abramovic, la sua performing art attrae anche qualche pazzoide e ripropone gli interrogativi che da sempre coinvolgono l'arte contemporanea, dalla merda d'artista di Duchamp al tentativo di evidenziare le differenze tra le imprese dell'artista serba e quelle di un qualsiasi Soldini che attraversa gli oceani a bordo del suo catamarano. Gli stessi interrogativi, la stessa diffidenza, ma anche la stessa ammirazione che si legge nelle parole e negli sguardi del pubblico intervenuto al MoMa e disposto a bivaccare davanti al museo per una notte intera pur di assicurarsi un posto a sedere davanti all'artista, tanto è lunga la fila per poterla vedere. Quelle stesse emozioni che riesce a trasmettere l'imperdibile film di Matthew Akers, che non ha nulla di agiografico ma che, al contrario, riesce a restituire pienamente la dimensione dell'aspetto fisico del lavoro d'artista e la congiunzione impossibile e ossimorica tra la disciplina crudele del corpo (ma la regia non nasconde l'aiuto di una fisioterapista), punto estremo della razionalizzazione weberiana del mondo, e la follia più pura. Potrà non piacere o far discutere, si fatica a capire dove sia collocato il confine tra arte visiva e teatro, ma si resta ammirati e, ancor di più, ci si emoziona profondamente nel seguire la traiettoria incredibile di questa straordinaria artista dalla voce androgina, che attraverso il suo lavoro ha messo in discussione tre capisaldi della cultura occidentale-industriale: il rumore (attraverso il silenzio protratto); l'ingordigia e l'avidità (attraverso il digiuno) e la produttività (attraverso la fissità delle sue performance). Un documentario che rimane scolpito nel cuore e nella mente.   

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