Regia di Ben Lewin vedi scheda film
Quello dell'handicap, mentale o fisico che sia, è un tema assai spinoso da affrontare al cinema, dove sempre è dietro l'angolo il rischio di fornire ritratti affogati nel pietismo e sostenuti o giustificati da chili di retorica. Quand'anche l'unico motore di un lavoro di questo tipo sia un'urgenza comunicativa immediata e autentica, svincolarla dall'abbraccio mortifero del patetismo è un impresa affatto semplice che richiede una costante ricerca di equilibrio e una particolare attenzione alle sfumature, tanto più se a monte c'è l'ambiguità subliminale del richiamo alla "storia vera".
Per le ragioni appena elencate, il film The Sessions contiene elementi da maneggiare con cura: sceneggiato e diretto da Ben Lewin, affetto in gioventù dalla poliomelite e tuttora inseparabile suo malgrado dalle proprie stampelle, narra del giornalista e scrittore Mark O'Brein e della sua testarda ricerca della realizzazione del proprio sogno sentimentale, lui che dalla stessa malattia - contratta a sei anni - fu reso incapace di governare i propri muscoli e condotto a una paralisi che gli lascio libertà di movimenti soltanto (e parzialmente) per la testa, costringendolo a trascorrere in un polmone d'acciaio la maggior parte delle ore di ogni singola giornata a venire.
Prendendo spunto da un articolo da questi pubblicato sul Sun nel 1990 (On Seeing a Sex Surrogate), il regista fa partire il racconto dal 1988, ovvero da quando - trentottenne di riconosciuta intelligenza e spiccata sensibilità, profondamente cattolico dunque allenato al senso di colpa - Mark iniziò ad avvertire il vuoto generato dalla mancanza di una relazione di coppia e di conseguenza il peso insostenibile della propria verginità, intraprendendo un percorso che lo portò dritto verso le cure di Cheryl Cohen Greene, una donna sposata ma (letteralmente) "surrogato sessuale" di professione, la quale si pose l'obiettivo di - entro un numero limite di sei sedute - fargli conoscere il contatto fisico, educarlo alla gestione delle pulsioni ed introdurlo all'esplorazione del corpo femminile.
Comprensibilmente coinvolto dal dramma della malattia che segnò gravemente l'esistenza dell'uomo (morto nel 1999 all'età di 49 anni), Lewin gli dedica con The Session un omaggio sentito e sincero, riuscendo a fare della sua iniziazione alla sessualità una commedia romantica semplice, bizzarra e dalla trama lineare, che tratta il rapporto tra sesso e disabilità in maniera non superficiale né ipocrita, e che schiva la potenziale morbosità scegliendo le tonalità tenui di un umorismo educato e pungente che non risparmia qualche pacata ma efficace incursione in ambito religioso.
Alla sostanziale riuscita di un’operazione più necessaria che ambiziosa partecipa un cast in buona forma, dove accanto all'affidabilità del comprimario William H. Macy, spassoso nel ruolo del prete progressista e strambo con cui Mark si confida, a spiccare è l'alchimia tra i due protagonisti, con la sorprendente Ellen Hunt, coraggiosa nel mostrarsi ripetutamente nuda a quasi cinquant'anni nel ruolo della generosa terapista, che perde ai punti il confronto con l'incredibile John Hawkes, che in un'interpretazione di raggelante immobilità rende tutto il fascino e la positività di un uomo che ebbe la forza di sfidare la propria enorme sfortuna.
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